Caso più acclamato resta però quello del brillante sarto francese Barthélemy Thimonnier. Thimonnier aveva a lungo osservato i lavori svolti ad uncinetto. Il tortuoso accavallarsi di quello strumento, manovrato con oculata destrezza dalle sapienti mani delle sarte, lo aveva profondamente ispirato, instillando in lui la stravagante idea di un punto simile eseguito però da un macchinario.
Non passò molto perché egli riuscisse a dar seguito al suo desiderio ottenendo nel 1830 un brevetto per la creazione del primo modello di macchina da cucire capace di creare gli stessi punti a catenella, ma sei volte più velocemente. Al primo prototipo seguirono altri esemplari sempre più innovativi.
Ciò che Thimonnier realmente bramava, altro non era che alleggerire il gravoso lavoro dei sarti. Le sarte erano infatti costrette a lavorare per ore ed ore ricurve sulle proprie ginocchia, manovrando ago e filo nelle laboriose cuciture a mano, concedendosi unicamente pasti consumati in piedi (quale unico momento di riconciliazione con una postura eretta dapprima martoriata); tutto per una paga esigua. E nonostante si offrisse un miglioramento a quelle condizioni lavorative, l’invenzione non incontrò l’accoglimento sperato. I ritmi di produzione a macchina non erano paragonabili al semplice lavoro manuale e per i sarti francesi quel macchinario divenne ben presto emblema di una minaccia. Minaccia che avrebbe di lì a poco potuto sancire la fine della richiesta dei loro servigi. E quando 80 delle macchine di Thimonnier vennero impiegate per le forniture militari dell’esercito francese, la paura dei sarti si tramutò in rivolta. Lo stabilimento fu dato alle fiamme, mentre l’inventore si vide costretto a fuggire.
Questo non arrestò la brama di sviluppo. Presto si accodarono le nuove proposte dalla Francia, Inghilterra e America. E mentre la competizione saliva, altri sfortunati protagonisti furono l’inglese John Fisher, che produsse nel 1844 un prototipo per cui non ottenne mai riconoscimento alcuno (caso volle infatti che i documenti lasciati all’ufficio brevetti andassero perduti) e nel 1846, Elias Howe con il suo modello di macchina da cucire a navetta; che non riuscì a commercializzare.
Il tedesco-americano Isaac Merritt Singer È lui, l’uomo dal gran carisma e dalla grande passione per la meccanica, in quanto riuscì a miscelarr le caratteristiche di maggiore successo contemplate nei modelli precedenti realizzando un modello funzionale, firmando una delle più rinomate ed eleganti macchine a noi oggi note.
Anche per Singer il percorso non fu facile e sfide economiche, così come battaglie personali e legali, non tardarono a presentarsi. Howe, sentitosi defraudato di una sua propria idea, sporse denuncia a Singer per violazione del suo brevetto, ottenendo tra l’altro un lauto risarcimento; e se Fisher non avesse avuto quello sfortunato problema al deposito del suo brevetto, sarebbe stato lui il reale detentore del primo brevetto al mondo per la moderna versione della macchina da cucire.
Singer ebbe dalla sua anche la fortuna di avere qualcuno che sostenesse fermamente il suo progetto: l’avvocato Edward G. Clark, con cui creò la società I. M. Singer & Co; che vide presto la diffusione di fabbriche Singer in Germania, Russia, Canada e Austria.
Le macchine Singer divennero simbolo di funzionalità e impeccabile qualità; ogni loro componente era numerata e sagomata in egual maniera, consentendone la precisa costruzione e facile riparazione. Nelle fabbriche, la loro versatilità, consentiva le più svariate produzioni: abiti, tappeti, scarpe, uniformi, tende, sciarpe, etc.
Il boom degli anni ‘30 delle macchine da cucire elettriche, seguito poi negli anni ‘50 dalla diffusione delle riviste di modellistica, con cartamodelli e istruzioni per il cucito, definì una vera e propria rivoluzione. Nelle case queste macchine superarono la mera vocazione di mezzo produttivo, divenendo suppellettile-gioiello dalla rara bellezza. Pregevoli ornamenti in filigrana argento o oro formavano l’ordito che rivestiva la brillante laccata nera. A volte mirabili motivi ispirati allo stile liberty, impreziosivano queste macchine rendendole piccole opere d’arte ricercatissime dai collezionisti di tutto il mondo.
Protagonista di questa rivoluzione fu insieme alla Singer, la Pfaff (del 1862), con esportazioni in oltre 60 diversi paesi tra Europa, Africa, Asia ed Australia.
In Italia, iniziammo a produrre le nostre macchine successivamente. Nonostante il ritardo, le nostre macchine si distinsero subito per l’eccelsa qualità e funzionalità, divenendo un prodotto altamente richiesto all’estero. Oltre alla Singer, tra i marchi italiani più noti ricordiamo la Necchi (cui primo modello fu realizzato nel 1919). E pensare che Vittorio Necchi, realizzò la sua prima macchina per accontentare il desiderio della moglie di possederne una, così, al posto di comprarla, fu in grado egli stesso di realizzarne una sua nuova vincente versione.
Seguirono poi la “BU” del 1939 capace di realizzare ricami, poi la “BF”, l’innovativa Supernova del 1950, la famosa “Mirella” del ’56 e molte altre ancora.
Dal web vanillamagazine. It