Le stronzate di Pulcinella

Dialogo impossibile - Sotto i peschi

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view post Posted on 23/6/2014, 10:16
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SOTTO I PESCHI



Dieci anni da allora con scarponi infangati, la schiena che grondava sudore e, io, tua madre e ceste di pesche alcune ancora vuote. C’era il sole, un sole caldo. Ti vedemmo arrivare con l’allegria e il sorriso dei tuoi quattordici anni. Non c’è alcuna ombra nel sorriso della fresca gioventù.
Tu non sapevi, noi non immaginavamo. Non eri venuta per aiutarci, né per lamentarti di quel piccolo dolore. Così, solo una passeggiata fino al pescheto.
Mangiasti una pesca e il succo scendeva a sporcarti il viso del sapore dolce del velluto, una perfetta simbiosi, un bacio reciproco di bellezza. Ridevamo dei ponfi lasciati dalle ortiche sulle tue tenere mani. Un giorno mai divenuto passato, sotto i peschi c’è sempre il tuo sorriso e la tua anima.
E’ un affresco nella memoria dipinto di eternità.
Sai, mi disse tua madre dopo che, saltellando, ti allontanasti, “ è da un po’ di giorni che lamenta un dolore al fianco all’altezza del femore” .
Forse saranno disturbi ormonali legati all’età le risposi rassicurandola. Ci credevo quando lo dissi.
Dopo alcuni giorni come una lenta e lunghissima eclissi le tenebre avvolsero i cuori a te più cari.
Iniziò un gemellaggio impari tra dolore e speranza. Come si gemella ora la mia vita tra i ricordi felici che leggo nei tuoi occhi e nel tuo ricordo, tra il tuo passato e il tuo futuro e la mia assenza nel tuo presente dove vive il tutto senza passato né futuro.
Non so se ti sei risparmiata più gioia o più dolori, l’unica certezza è la freschezza della tua immagine immortalata nei nostri occhi. È facile parlare con chi sai che non ti ascolta, lo so che è un paradosso ma è così, come è facile parlare anche con chi ti ascolta, il difficile è parlare con chi finge di ascoltarti. Per questo ora parlo con te che non puoi ascoltarmi, parlo con Dio che di sicuro m’ascolta e taccio con gli altri. Sai, in certi occhi vedo l’assenza del presente, del futuro e una corsa all’edonismo, una corsa con tante mete senza una meta, neppure per quella certa. Non capisco tante cose forse perché voglio spiegarle con i miei desideri, senza tenere conto che sono desideri ormai indesiderati, volontariamente chiusi in uno scrigno del quale ho gettato la chiave. Se ora tu mi chiedessi cosa vuoi dalla vita io ti risponderei nulla di più di quello che ho imparato ad avere. Come avevamo cercato, lottato per chiudere la tua vita nella vita! Senza tenere conto che un altro volere, più forte di noi, aveva già deciso che la tua vita aveva bisogno di volare oltre le miserie umane. Noi non capiamo la ragione di chi ha ragione se questa ragione contrasta con la nostra voglia di possedere ciò che amiamo oltre ogni razionalità. Eccoci qua entrambe nell’al di là seppure una delle due ancora cammina sotto le nuvole. Forse dovrei dimenticare come tu certamente hai fatto, il sapore dolce delle pesche mature, dovrei cercare la vita nella vita quella che raccatto raccogliendo le briciole che nemmeno ci sono, inventandole cadute da un pezzo di pane ancora fresco di giornata.

Nulla è cambiato

Qui le cose non cambiano mai anzi peggiorano sempre di più perché noi peggioriamo ogni giorno di più. Sempre alla ricerca di quello che non ci serve e a buttare via quello che abbiamo. Mi rendo conto che non può esserci gemellaggio fra il cielo e la terra almeno non fra me e te ma con Dio si.
Con Dio l’uomo può avere l’obiettivo di affrontare i propri problemi e di instaurare con Lui lo stretto legame di paternità e dichiarare con orgoglio una finalità di intenti e di traguardi comuni.
L’uomo in questo trait d’union non dovrebbe perdere di vista la propria debolezza e l’altrui forza al fine di perseguire il proprio bene. Vivere in questo marasma dove nemmeno i giovani riescono a godere della propria gioventù e il potere della bellezza, non sanno che i fiori appassiscono e solo allora desidereranno ammirarli nei loro colori e nei loro profumi che non tornano più. Anche io talvolta mi soffermo, invidiando me stessa, a guardare vecchie immagini di tanto tempo fa quando il mondo nessuno me l’aveva strappato dalle mani, quando lo specchio mi rifletteva solo bellezza e purezza e la mia mente era ferma ad apprezzare come te soltanto il succo dolce che grondava dalle pesche mature ed era lontano il pensiero dell’incanutimento. Quando le giornate non conoscevano nessuna pigrizia come gli uccelli che cantano saltando da un ramo all’altro nonostante la pioggia.
E come facevi tu ridevo di tutto anche se restavo indietro, anche se ero in testa. Non mi preoccupavo della meta del mio correre ma soltanto di correre, né tanto meno di quanto fosse lungo il tragitto forse perché pensavo, come te, fosse tanto lungo. Ora so che tu ti sbagliavi e io no ma non so chi di noi due sia da invidiare, non dipende da noi. Forse ti vedevi a ottanta anni ballare il valzer con il tuo uomo ma vedi può darsi che non si sarebbe avverato perché l’uomo fa molti viaggi qui sulla terra, non gli piace fermarsi in un solo luogo. Forse avresti tinto i capelli, ti saresti ingrassata e messa a dieta, chi può dirlo? Forse avresti peccato di crudeltà verso qualcuno o con te stessa imbrigliando i tuoi sogni nella rete di un altro pescatore per poi invidiare i sognatori liberi. Forse a sedici anni sapevi già cosa fare da grande: nessuno te l’ha mai chiesto perché non era così importante, era importante solo diventare grandi. Sapessi quanti grandi non sanno ancora cosa fare. Avresti scelto fra tante la tua strada o qualcuno l’avrebbe scelta per te? Comunque sarebbe andata la felicità non è di questo mondo viviamo con troppi se e troppi ma. Ci colpevolizziamo troppo o troppo poco o per niente, come ci piace essere adulati anche immeritatamente forse per un senso di accettazione che non riusciamo a scovare in noi stessi e ci accontentiamo di quello degli altri seppure non veritiero. Non c’è niente da fare viviamo della nostra crosta e non del noi stessi. È così difficile mantenersi sano quaggiù. Viviamo senza precauzioni e ci accorgiamo di non aver assunto abbastanza calcio solo quando le nostre ginocchia mancano al nostro sostegno perché partite per sempre. Le scelte che facciamo comunque esse vadano sono scommesse perciò non dovremmo congratularci troppo con noi stessi né tanto meno rimproverarci molto. Chissà come fa la gente ad usare il proprio corpo come fosse il miglior strumento in possesso, a godere solo di esso separandolo dalla mente senza sentire alcun dolore interiore. Qui il tempo trascorre senza accettare consigli ma dispensandoli sottoforma di nostalgia ripescando negli errori del proprio passato e avendo cura di ripulirlo, fare una passata di vernice opaca coprente sulle parti meno trasparenti e più brutte e riciclarlo ad altri con la presunzione che verrà preso sul serio e quindi seguito. Secondo me i consigli bisognerebbe accettarli o quanto meno metterli in conto perché il più delle volte chi ti vuole bene e ti da consigli è perché vede oltre quello che tu vedi a prescindere se quello che stai vivendo fa parte del suo vissuto. Quando non si ascoltano i buoni consigli succede come per le ginocchia senza calcio e cioè perdute irrimediabilmente. A volte penso che a ogni essere umano Dio avrebbe dovuto dare un manuale d’istruzione personalizzato anche se ho la consapevolezza che quel manuale ognuno di noi l’ha impresso dentro ma non lo segue. Il perché non lo seguiamo è da ricercare nella nostra presunzione di agire meglio, di ottenere di più, di essere più felici e non ci rendiamo conto che disubbidienza dopo disubbidienza ergiamo la nostra infelicità come un muro di cemento armato difficile da smantellare. Probabilmente tu sei stata fortunata perché non hai vissuto l’età della disubbidienza, potranno sembrarti crudeli queste mie parole e forse umanamente lo sono ma Dio ti ha voluta con se, Lui sceglie il meglio per se e credo anche donarti la felicità e la vita eterna lontano, dalle brutture e sozzure degli uomini.

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view post Posted on 24/6/2014, 09:25
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Il silenzio tra le parole

Quando giunge l’ora della sera e non si ha più nulla da dire è perché alla prima ora già non c’era nulla da dirsi seppure le parole scorrevano con l’impeto di un fiume in piena dove vi si trovava un senso, il senso dell’incognito, della non conoscenza. Ora è terreno non coltivato, arido, un fiume che scorre muto e con tutto l’impegno possibile non si riesce a scoprire nessun suono, nessun fruscio e nessun filo d’erba su terreno senza concime.
Tutto tace, diventa limpido il senso e il silenzio parla finalmente con il senso compiuto della conoscenza che più non appaga.
Nemmeno gli uccelli volano più quando sono stanchi ma riposano nei loro nidi e non cinguettano instancabili dopo che hanno nutrito la loro carne. Sono come gli uomini, quelli che continuano a cantare lo fanno solo per amore. L’amore, l’amore, ma cos’è poi se non egoismo? Non t’amo più ma che significa se non “ non appaghi più i miei desideri”? L’amore è lontano anni luce dall’amore.
Non sa cosa sia realmente se non in quello della madre col figlio, della radice con l’albero perché l’uno dipende dall’altro. L’amore è sinonimo di “mi servi per stare bene” quando non sto più bene “non mi servi più” e continuiamo a chiamarlo amore. Tu invece ora sei con la pura e vera essenza dell’amore.
Oggi sono stanca ho premuto troppo una rapa per farne uscire del sangue, niente sangue ma tanta stanchezza. Niente comunque a paragone della tua estenuante fatica per lasciare la vita, anche la morte è una vittoria da conquistare col sudore, le lacrime e il dolore. Alla fine però la vittoria è certa
come è certa la vita dopo la morte con o senza patimenti, dipende solo da noi. In questo momento cresce in me la presunzione di sapere parlare di Dio e del paradiso come ho fatto con te nell’ultima notte che hai trascorso qui: ti ricordi? Ti piaceva ascoltare le parole del vangelo, volevi ascoltare nonostante si stesse evaporando la tua anima. Ti ricordi il saluto della farfalla che si posò sul tuo letto?
Sai ora c’è una farfalla appesa alla parete della tua casa, l’ha dipinta per te Andrea. Nessuno qui ha dimenticato e anche se volesse farlo non può perché quella immagine riconduce inevitabilmente a te.
Ma ti stavo parlando della caparbietà o meglio della cretinaggine delle persone cosiddette intelligenti e che premono le rape pur sapendo che dalla rapa non può uscirne nulla ma che è commestibile soltanto cotta. Mi dirai perché allora continuano a premere? Eh! Proprio perché l’uomo è abituato a vivere più di speranze che di certezze, forse la speranza appaga di più, la certezza deve essere monotona, insomma è pallosa. Invece è più adrenalinica l’incertezza che ti da la speranza di ottenere qualcosa, sempre perché, l’uomo è incoerente e terribilmente complicato e stupido. E poi c’è tanta vanità, tanta euforia quando l’uomo deve vendere il proprio sapere e il suo fare che non riesce a vedere quelli che sanno di più ma non sanno vendere. A volte la vita sembra un mercato ortofrutticolo dove ognuno grida la bontà dei propri prodotti e nessuno assaggia, per verificare, i prodotti dell’altro: è una inutile egoistica corsa dove viene annullato il sapore del godimento della vita. Ma di positivo penso che dopo aver faticato tanto alla fine si riesce a capire che è meglio premere un grappolo d’uva magari davanti al pergolato della tua casa, nemmeno tanto vellutato ma di sicuro fresco, dolce e genuino. Tu non hai mai cercato il dolce dall’amaro, non ti sei fatta prendere in giro dall’apparenza, quello che ti circondava era tutto vero e dolce. Gli occhi che ti guardavano erano pieni di orgoglio e di amore e di una voglia di darti l’impossibile.

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view post Posted on 25/6/2014, 12:09
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La luna nel pozzo

La luna nel pozzo è solo una delusione perché le mani restano vuote e non puoi carezzarla, puoi solo guardarla finché non svanisce la notte. Quando speri l’impossibile è come vivere perennemente al buio e nel contempo non vivere il buio. Vivere il buio significa alzare gli occhi al cielo e guardare la fioca luce della luna con la consapevolezza che è semplicemente un pianeta lontano da te e stare lontano dal pozzo. Sapessi quante lune si vivono per sopravvivere eppure la luna è solo una ma l’uomo non sa goderne e ogni notte ne cerca una nuova riflessa nel proprio pozzo restando inevitabilmente deluso al sorgere del sole.
Vorrei raccontarti qualcosa di allegro ma ogni giorno è una nuova avventura, ogni giorno qualcuno ti rende felice, qualcun altro ti rende triste: è il gioco della vita! E chissà poi perché ti rendono infelici sempre le persone che ami di più e invece ricevi un sorriso da chi non te l’aspetti e magari non vuoi nemmeno ti sorrida. Non so spiegarti bene le sensazioni che ricevo da questa vita che passa, è come se si aggiungessero in continuazione dei lacci che legano qualcosa di me, lo intrappolano. Cerco di capirne il motivo ma non ci riesco. Ogni giorno è come uno strappo e una cucitura col risultato che mi sento rattrappita, le giunture non scivolano. Credo sia difficile vivere, difficile capire gli ingredienti del mio impasto interiore, se solo riuscissi a capire quale sostanza manca per sorridere un po’ di più. Forse mi manca la libertà di essere migliore, la libertà di non contare i giorni andati e sperare in quelli a venire.
I fiori continuano ad aprire i loro petali e ad emanare il loro profumo che impertinente svicola dalle serre e consola l’olfatto dei rari passanti. La gente dovrebbe essere grata a chi coltiva i fiori perché il loro odore rende meno brutti i volti arcigni e corrugati, loro malgrado sono costretti a respirare.
Sono poche le persone che non hanno bisogno di un buon odore per distendere le rughe della cattiveria. Probabilmente non per colpa loro, non sono stati capaci di alleggerire i loro fardelli, di caricarsi di fieno e non di ferro, di godere dei doni gratuiti della natura. L’affanno non ci viene donato alla nascita lo costruiamo noi giorno dopo giorno come fosse una missione con lo scopo di essere infelici ad ogni costo. Quindi quando diciamo la felicità non esiste forse dovremmo aggiustare il tiro dicendo: noi non esistiamo nel senso giusto.

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view post Posted on 30/6/2014, 08:28
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Il senso giusto e le verità dei sogni

Il senso giusto lo si capisce quando non cerchiamo più appagamento di noi stessi negli altri. Non so se sei riuscita ad ascoltare il detto “in vino veritas” e sai che ti dico? E’ sbagliato, meglio dire “in sogno veritas” e sai perché? Perché anche un ubriaco riesce a nascondere quello che vuole, lo cela talmente bene che nemmeno l’alcool riesce a farlo evaporare mentre durante il sonno non esiste nessuna ratio e quindi i nostri desideri vengono fuori sottoforma di simboli o con personaggi diversi da quelli reali. Quindi a mio parere i sogni sono la bocca della verità. È come se ci facessero tornare indietro a quando non conoscevamo le parole “ non si fa, non si dice, se, ma, questo è bene, questo è male”. Ci rendono incontaminati dai pregiudizi, e il bianco è bianco e il nero è nero. Ci riconducono all’assenza di menzogne per compiacere e quindi compiacersi, all’assenza della finzione e del tornaconto. Da sveglio questo l’uomo non lo fa perché, in qualsiasi contesto, recita un ruolo che esula sempre dall’ essere se stesso. Il neonato è se stesso. Sai a volte non ci resta altro che restare in silenzio e aspettare che l’incognito si dissolva e riuscire finalmente a dipanare, chiarire il presente e vederlo per ciò che è. Essere terra di nessuno a volte ci rende liberi di appartenere solo a noi stessi e ci da la possibilità di far splendere il sole sui nostri grigi nugoli di pensieri. Mi rendo anche conto che talvolta la realtà di ognuno è costruita dalle proprie idee, dai vari bollini ed etichette che si appiccicano a volte anche senza un’accorta e accurata conoscenza.
 
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view post Posted on 5/1/2016, 11:47
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Il vuoto
Gli antichi saggi avevano in gran conto il vuoto al quale si riferivano come una vera e propria dimora perché le cose concrete sono relativamente utili, l’essenziale appartiene al vuoto. Dal vuoto puoi prendere sempre e tutto senza mai fine. Nel vuoto non ci sono parole taglienti, non ci sono nodi da sciogliere, né polvere da spazzare via per far risplendere la verità. Il vasaio plasma la creta per farne un vaso, lo adorna di fiori per renderlo più bello ma è la sua cavità a renderlo utile ed è questo l’essenziale. Così noi quando ci rapportiamo con gli altri ammiriamo come per il vaso le decorazioni esterne, ed è anche giusto se, poi guardiamo dentro per scoprirne i tesori che possono arricchirci o gli elementi dannosi che possono impoverirci. Gli uomini nascono e muoiono e ritornano alle loro radici, alla quiete. Accettare il proprio destino è come ritornare alla quiete, ritornare a Dio perché lo si è conosciuto e accettato. Saggezza è diventare sconfinati e liberi e tutto questo ci rende imparziali, ci porta fuori dalla povertà per renderci regali e vicini al cielo. Solo così
Saremo eterni e quando il corpo ci lascia non subiremo alcun danno. L’origine dell’essere è nel non essere, nel senso dello svuotarci dalle debolezze umane e prendere dal nostro vuoto l’eternità.
Hui Zi disse a Zhuang Zi: “Ho un grande albero di ailanto, ma il suo tronco è così contorto e nodoso che non si riuscirebbe a trarne un'asse diritta. I suoi rami sono così intricati che squadra e compasso non sono di alcuna utilità su di essi. Si erge sul ciglio della strada, ma nessun falegname lo degna di uno sguardo.
Così sono anche le nostre parole: grandi, ma inutili, e nessuno sa che farsene.”
Zhuang Zi rispose: “Hai mai visto un puma o un furetto? Si appiatta in agguato, aspettando la preda, poi balza a destra e a sinistra, in alto e in basso. Ma alla fine cade in una trappola o muore in una rete. E poi c'è lo yak, grande come una nuvola che oscura il cielo. Ma è incapace di prendere un topo. Tu hai questo grande albero e ti preoccupi del fatto che è inutile? Piantalo nel terreno del non essere, nel campo dell'illimitato, e tutti gli esseri potranno ripararsi sotto di esso e addormentarsi nella sua ombra liberi e felici. Nessuna ascia gli abbrevierà mai la vita. Proprio perché è inutile nulla può nuocergli.”


Su questo humus costruiamo e distruggiamo i rapporti con la fantasia, senza conoscenza e ci illudiamo che i castelli che ergiamo nella nostra testa siano castelli veri abitati da re e regine ma non è così. A me è capitato di vedere la potenza regale delle stelle nei tacchi delle scarpe. Certamente se potessi rispondermi mi diresti: “sei scema?” e io ti risponderei “no”. Non posso trasferire certe sensazioni qui sulla carta per renderle tangibili ma ti assicuro che un giorno lontano ho innalzato dei tacchi al cielo e brillavano talmente tanto che il cuore si riempiva di gioia e di luce come se qualcuno m’avesse proiettata in una ridondante dimensione, diciamo dove sei tu adesso. Quella luce è stata sostituita dal raglio di un asino troppo carico e talvolta dall’ululato di un lupo affamato. Se la nostra interiorità si lascia comandare da un’altra interiorità più prepotente diventiamo come alberi da frutto o da legna, utili si, ma tormentati, maltrattati e destinati a morire. Quando la saggezza ci rende ricchi della consapevolezza della grande considerazione che Dio ha di ognuno di noi solo allora saremo sereni e liberi.
Qui è quasi primavera, le tue serre sono già pronte ad accogliere e proteggere i lilium e a essere più in là testimoni dei loro sorrisi colorati. Te li ricordi? Ti ricordi come si pavoneggiano protetti dalle serre? Sono un po’ come noi, per pavoneggiarci e sorridere abbiamo bisogno che qualcuno ci protegga, ci abbracci e ci faccia sentire con tenerezza che è presente nella nostra vita e ci faccia sentire come i fiori d’inverno che sbocciano incuranti del freddo. Nessun cuore si inaridisce e si svuota se trattato con cura. È come quando la quercia chiese al pesco di parlargli di Dio e il pesco fiorì. Anch’io dovrei imparare a fiorire ogni giorno elargendo amore conservando la dignità, senza pretesa di baratto. Bisognerebbe imparare a dividere e a moltiplicare all’infinito nella divisione, in modo tale che la metà diventi il doppio, il triplo, il quadruplo e così via. L’amore si abbraccia con la sofferenza perché il sole non sorge alla stessa ora per tutti, così quando in un cuore c’è la luce l’altro non lo sa perché è avvolto dalla notte. È un continuo alternarsi senza incontrarsi mai, come il falco e la colomba. Questo non è altro che uno spiegamento di debolezza dovuto alla consapevolezza del desiderio di non somigliare a Dio nella gelosia ma di somigliargli nella capacità di perdonare e dimenticare, non essere insomma un miserabile. Siamo piccole biglie nei cingoli dell’universo e ne sentiamo il cigolio ignorando o facendo finta di ignorare che ne siamo la causa e il nostro compito è quello di dirimere tutto questo semplicemente avviando la nostra coscienza individuale verso un percorso di centralizzazione dell’universo e non ponendoci semplicemente come vittime innocenti.
A volte mi pongo, tra le altre domande, quella del perché scrivo tutto questo, forse per fermare il tempo ad un tempo magico prima che tutto svanisca, fermare il mio tempo a ora, ora che con prepotenza sto creando dentro di me un vuoto da dove attingere tutto. Mi duole pensare che il tuo tempo, non sia stata tu a fermarlo, come me, in un momento da ricordare, con amore, nel tempo che verrà, ma hai subito una fermata brusca in un tempo non scelto. Sai, bisogna sempre essere pronti a perdere qualche cosa per conquistarne altre, nulla è senza un prezzo da pagare e così si va avanti nel percorso della vita fatto di incognite da scoprire come un lungo viale tempestato di veli da togliere. Man mano che avanzi e oltrepassi un velo scopri che ogni velo sveste un giorno nuovo. Quando togli l'ultimo velo si conclude l'assaggio dell'eternità che è questa vita. Ci si affanna tutti i giorni cercando di raggiungere chissà cosa, non siamo mai abbastanza soddisfatti, restiamo delusi, piangiamo, soffriamo e per cosa poi? Per cose vane. Solo nei momenti in cui viene reciso il tutto come un albero divelto dal vento, una giovane vita troncata apriamo per un tempo gli occhi e ci rendiamo conto del valore della vita e per un tempo la vita ci costringe a essere liberi e a fare delle scelte anche se non ne siamo ben coscienti.
Ci sono tante domande senza risposte se non quelle della forza della sopravvivenza che ci da Dio
altrimenti sarebbero tutti errori di una forbice che invece di tagliare i rami stanchi e secchi tagliano i rami teneri che ancora devono dare i loro frutti. Non so chi decide l’ammontare dei giorni del nostro assaggio dell’eternità e perché, forse perché Dio conosce il palato di ognuno di noi e sa che c’è chi ha bisogno di più tempo per gustare e capire e a chi bastano pochi bocconi.
Oggi un altro virgulto ha dimenticato il sapore delle pesche ed è venuto dove tu sei, un’altra mamma non ha né domande, né risposte ed è piena di vuoto. Le mamme non sentono più il respiro del mondo, tace tutto e in certi momenti non fa eco nemmeno il grande crepaccio che si è creato nel loro petto. Ma queste parole hanno un suono che non è gradito a Dio perché ruggiscono come leoni e penetrano come frecce, emettono urla, rimproveri e lamenti verso un Dio che soffre di più e questo dolore dimentica il dolore di Gesù, dimentica le lacrime di Maria.
Ma noi siamo umani e solo quando la tempesta si acquieta il nostro cuore, se abbiamo fede, potrà sentire di nuovo la musica del cielo che emana da milioni di esseri dal cuore sincero e avremo la forza di ripararci sotto la consapevolezza del grande valore delle cose inutili. Le cose che riteniamo inutili sono quelle che più ci sono necessarie. Considera l’immensità della terra e del cielo eppure noi usiamo solo il piccolo spazio sotto i nostri piedi e guardiamo il pezzo di cielo che ci sovrasta, immagina che tutto il resto venga tolto creando intorno a te il vuoto, a cosa ti servirebbe il pezzo di terra dove poggi i piedi e il lembo di celo dove si posano i tuoi occhi? A nulla. Ecco perché le cose che consideri inutili sono le più necessarie. La chiave per raggiungere la libertà del nostro itinerario terreno possiamo cercarla e trovarla solo dentro di noi e finché non la troviamo siamo esseri schiavi con una dimensione ridotta del sentiero che ci porta alla vita e non facciamo altro che sospirare verso il cielo dimenticando che possiamo levitare al di là delle nubi ed essere di nuovo sulla cresta dell’onda dove avevamo dimenticato di essere. Essere, per essere bisognerebbe esserci, sempre. Oggi ho ascoltato delle parole che mi fanno star male e non dovrebbero perché sono parole vuote uscite da bocca altrettanto vuota ma nonostante ciò mi hanno fatto scavare ancora di più dentro la mia anima. Il sentirsi vivo senza la certezza che anche le cose terrene siano vestite di eternità non mi fa vivere e di vivere alla giornata non ne sono capace.

Il giaguaro Kaloa e l’anima del potere

Spesso dagli sbagli non si impara nulla, kaloa azzanna la preda dall’acqua poi si scuote velocemente
per scrollarsi l’acqua da dosso e la preda cade nell’acqua, l’afferra di nuovo e ripete lo stesso errore e la preda torna in acqua e così via. Quando imparerà Kaloa? Di quante vite ha bisogno? E’ come quando costruisci una casa dopo che l’hai finita ti accorgi degli errori e vi apporti delle modifiche, la rifletti e trovi ancora qualcosa che non va. Se la fai cento volte cento volte vorresti cambiarla come cento volte il giaguaro si scrollerà l’acqua di dosso.
Io e te nascemmo felici e tu te ne sei andata felice e anch’io andrò via felice e non perché abbia conosciuto solo quella ma perché mi scrollerò, non l’acqua, come ha fatto Kaloa.
Sai l’uomo è difficile da gestire, non ci riusciamo nemmeno su noi stessi. Quante volte penso al male che c’è nel mondo e alle diaboliche menti che gestiscono il potere fagocitando interi popoli. Penso che essi siano senza occhi, senza cuore e senza morale. Soprattutto non sanno perché vivono e per cosa vivono, li paragono a quelle persone che pur avendo enormi potenzialità preferiscono, per sopravvivere, cimentarsi in espedienti a discapito di se stessi e degli altri calpestando qualsiasi principio morale. Il bene comune oggi è diventato una chimera e ritorniamo al discorso: a che serve coltivare il proprio orticello se tutto intorno regnano erbacce infestate da insetti? Quale speranza per il futuro?
Ti sembrerà strano questo mio discorso ma se ci rifletti è così. Quale atto consolatorio riceve l’anima di chi muove i fili della vita dell’umanità degradando, riducendo a larve umane intere nazioni solo per l'effimero potere. Potere su cosa poi?
Memento mori, ognuno crede non gli appartenga, che sia per gli altri

Il violino

Oggi il violino di Matteo sembrava piangesse, le note erano dolci e tristi, questo naturalmente è quello che ha percepito la mia anima soprattutto quando ho ascoltato le parole: allor che sulla croce moriva il mio Signore mi disse con amore “ Ricordati di me” e insieme al violino le cui lacrime erano le note, piangeva anche il mio cuore e le note scorrevano in rigagnoli sul viso, senza contenersi. Qualcuno mi guardava con aria interrogativa e come potevo spiegare il dolore che aveva pervaso tutta la mia essenza? Come potevo spiegare la mia pena? Così ho coperto parte del mio viso con i capelli, non perché mi vergognassi ma perché era un momento tutto mio e non volevo dividerlo con nessuno. Era come se la mia testa fosse diventata un albero e le note, come radici, avessero invaso tutto il corpo e le lacrime come un fiume di vita innaffiavano di malinconica gioia lo spirito. Sai, prima o poi tutta l’acqua va a finire in mare ma nemmeno il mare è eterno. Siamo in una realtà in continuo movimento e trasformazione anche ciò che ci sembra statico, inerme, poggia su qualcosa che si muove, nulla è così duro o così fragile da non poter subire cambiamento. Noi dobbiamo studiare il ritmo di questo cambiamento e deliziarci delle sue onde, non temerle e la nostra vita dovrebbe essere vissuta in armonia tra cielo e terra con l’assenza di conflitti.
Purtroppo siamo senza specifica identità, la nostra identità è divenuta un abito che indossiamo e poi togliamo a seconda delle esigenze, a seconda dello zenith ormonale, a seconda di altri molteplici fattori e il tempo passa senza rendercene conto e alla fine non sappiamo cosa siamo: trono, hall, sala bandiere o cortile esterno e la stima di noi stessi è ormai divenuta come un piccolo pezzo di deserto proprio perché la conoscenza che abbiamo di noi è alquanto dozzinale, insomma succede quello che succede nei rapporti amorosi. Inizialmente tutto ti inebria, farfalle nella pancia, campane, inappetenza perché ci si innamora dell’immagine che noi recepiamo della persona, non di quello che effettivamente è, ed ecco che l’amore fa splash e svanisce, se tutto va bene, nel nulla senza lasciare strascichi dolorosi, altrimenti abbiamo creato un crepaccio nel suolo della nostra vita e finché campiamo saremo costretti a stare attenti a non finirci dentro. Non credo che l’amore esista almeno non quello “per sempre” o se esiste è rarissimo perché presuppone la permanenza, dopo la effettiva conoscenza, dell’immagine che abbiamo visualizzato inizialmente.

La partenza

Oggi ho pensato che ogni genitore dovrebbe partire e camminare, camminare fino a quando non è in grado di portare a casa un raggio di sole ai propri figli. Come fa la rondine che vola via dal nido e vi ritorna con un verme nel becco per sfamare i suoi piccoli. È così bello vedere il sorriso sulle labbra di un figlio, credo sia la gioia più immensa che possa esistere. Quando questo avviene scompaiono all’istante i ricordi tristi. Lo so che la tua mamma non vedrà più il tuo sorriso, non qui sulla terra almeno, ma spero che la luce di Dio illumini il suo cuore ed entri in lei l’amore di Cristo affinché un giorno possa godere delle tue sonore risate per sempre. Per adesso immagino che lei ti pensi sorridente e scherzosa come quando prendevi in giro il nonno e mi auguro sia lontano dai suoi occhi il tuo giovane viso toccato dal dolore.
Tua mamma sorride ma io so che spesso è una maschera, la stessa maschera che indossa ogni mamma che ha attraversato il fiume del dolore più atroce. Le guardo le mamme che sorridono tenendo per la mano i propri cuccioli e paragono i sorrisi: non sono uguali, non possono essere uguali.

La farfalla che trascina un sasso

Alcuni giorni fa, facendo un giro sulle immagini del web, mi ha colpito quella di una farfalla che trascinava su per una scala un sasso legato ad una corda. Ho chiesto agli amici di un forum di analizzare quella immagine e descrivere i loro pensieri compreso il mio. Io ci ho visto la forza e la potenza di chi ha fede e crede che anche l’impossibile sia possibile se si confida nell’aiuto di Dio e non solo in se stessi. L’uomo a volte non ha la né la forza, né la capacità di lottare nemmeno per quelle piccole cose che lo renderebbero più sereno, è un eterno indeciso, non sa quello che vuole veramente e se lo sa attribuisce agli altri e non alla propria mancanza di coraggio i suoi insuccessi. Con l’occhio umano l’immagine è irreale, l’impresa impossibile e può suscitare ilarità, sofferenza, senso di prigionia, desiderio di libertà, dolori pesanti da trascinare. C’è chi ci ha visto le tenebre pur se le ali della farfalla sono piene di luce, c’è chi ci ha visto la fatica materiale e la successiva resa, chi ha pensato che per ottenere la gioia deve passare per la sofferenza, c’è chi ha visto oltre l’immagine captando il pensiero positivo, la meta da raggiungere, la vittoria, a qualcuno ha ispirato pensieri semplici pari a quelli che si provano vedendo un uccello in gabbia e l’istinto è quello di aprire lo sportellino e farlo volare, c’è chi ci ha visto la pazzia, chi in quella immagine ci ha visto se stesso e ha pensato che nonostante tutto può ancora volare, chi ci ha visto la tenacia, chi invece la possessività. Gli occhi che hanno guardato questa immagine fanno parte di una complessa interiorità suscettibile di variazioni umorali che determinano la variante di pensieri e sensazioni da essa scaturite. Analizzando le nostre risposte possiamo analizzare noi stessi e lo stato d’animo presente all’atto della risposta, quello che lo stato mentale ci suggeriva in quell’attimo. Per esempio se la guardo adesso con i miei occhi e non con quelli della fede dico da farfalla: “ma chi cazzo mo’ fa fa ‘e trascinà pe’ tutta sta scalinata che nun saccio manco addò va stu pietrone accussì pesante” è meglio si me scioglie e accummincia a vulà. Magari domani questo sasso mi sembrerà paglia, un altro momento vorrei cercare una forbice per tagliare lo spago e un altro ancora vedrei il sasso come qualcuno legato a me solo perché ha bisogno di me e ancora mi potrei vedere morire di stenti per aver cercato di dare vita con la mia forza a una sostanza inerte che mai avrà respiro, o ancora mi vedrò pietra . Non c’è risposta al perché in questa assurda immagine se non riconducibile a Dio e alla sua potenza perché a livello umano potrebbe essere solo una barzelletta o una qualsiasi altra cosa che la nostra superficialità ci suggerisce.

Il filo sottile del non dormire

Questa notte come tante altre il sonno non arriva, eppure ho creato il vuoto dal quale attingere il sonno. Ma una forza profonda della quale non riesco ad impadronirmi riempie di continuo il mio vuoto e la chiave di lettura mi è sconosciuta. Ed è estenuante questa lotta tra il bene e il male, il positivo e il negativo, è come fossi due corpi entrambi protagonisti dei quali solo uno vuole dormire, mentre l’altro condanna l’assenza di pensiero. Anche tu eri in due, una voleva andare e l’altra restare. Forse ognuno è due, una dicotomia di voleri contrastanti e probabilmente è una terza che decide a chi tocca la vittoria, è una terza identità o entità che fa parte di noi ma è relegata talmente nel profondo io, che non ci accorgiamo nemmeno della sua esistenza. Probabilmente è questa la causa della nostra continua e perenne insoddisfazione, non riusciamo ad ascoltare quella terza voce. Dio dice che siamo fatti a sua immagine e somiglianza “uno e trino”, anche Freud divideva il nostro essere in tre “diciamo” voleri comportamentali. Nosce te ipsum mai stato più appropriato se non altro per avere la possibilità di instaurare un tipo di relazioni adeguate con se stessi e con gli altri..

L’errore di nutrirsi dell’altrui rabbia

Le lacrime si gonfiano sul petto e non sgorgano dagli occhi. Cose da crepare. Ti cresce dentro e non erutta di botto, questa voglia incontrollata di urlare. Cose da scoppiare. E allora che fare? Urlo senza voce e mi bagno il viso del mio stupore. È anche questa la bellezza della vita non solo capelli lunghi, gambe snelle e affusolate, pelle abbronzata e una dentatura perfetta, un viso scolpito.
La bellezza è celata anche nelle lacrime ingoiate, nelle cicatrici trascorse e in quelle che verranno, nelle occhiaie di notti insonni, nelle rughe segnate dal tempo. Bellezza è tutto quello che proviamo dentro ed evapora incontrollato, bellezza sono i segni che la vita ci lascia addosso, i pugni e le carezze che i ricordi ci fanno rivivere. Non dovremmo mai nutrirci della rabbia degli altri che scaturisce talvolta da semplici incomprensioni. Dovremmo comportarci come le formiche. Sai, io guardo spesso le formiche e le ammiro molto, loro non si arrendono mai. Alcuni anni fa mentre le guardavo correre avanti e indietro sotto un cocente sole, il primo pensiero è stato: quanto sono stupide queste formiche, sembrano impazzite. Poi ho buttato sul terrazzo alcune briciole di pane e ho osservato il loro comportamento. In pochi minuti erano sparite tutte le briciole in un buco, una sola trascinava non so come, un pezzo di pane più grosso, andava a rilento ma non si arrese fin quando non raggiunse l’uscio di casa. Che esempio di laboriosità, di fiducia e di forza! Di questo esempio dovremmo nutrirci, non della rabbia di chi come me non sa, talvolta, riempire il vuoto.

Oggi ho parlato con Virginia, mi ha portato un vaso orribile rotto e cucito col fil di ferro e infine cementato. Ha detto: me lo puoi rendere un pochino più decente? Beh ci proverò. Te la ricordi Virginia? Sai, lei ha passato tanti di quei guai eppure l'altro giorno raccontando una delle sue apocalittiche disavventure mi ha detto sorridendo: hai visto? però sono viva!
Ha una forza invidiabile quella piccola donna è come la tua mamma, nonostante i tanti dolori hanno sempre qualcosa di positivo da raccontare e vedono uno spiraglio di luce anche nel buio più profondo. In questo momento piove, sono a letto con la bronchite e non ho voglia di nè di pensare e tantomeno di fare qualcosa. Se penso mi rattristo e di fare qualcosa non ne ho la forza allora sto qui sospesa tra il si e il no, tra il fermarsi e il proseguire e mi gusto la percezione positiva della staticità come se stessi volando su un mucchio di nuvole tanto spesse da non far trasparire nemmeno una briciola di colore o ombra riconducibile alle brutture del mondo. Sto bene come un muro imbiancato. Chiedersi il perché delle cose fa solo male alla mente e al corpo soprattutto quando a questi perché non hai una valida risposta. E' facile sprofondare in crisi esistenziali se i perché ai quali non riesci a dare una risposta riguardano la tua esistenza. E' facile cadere nella melanconia quando ripercorri le strade che ti hanno condotto in posti nei quali non saresti mai voluta andare e il perché resta una incognita senza speranza di soluzione.
A volte mi perdo sotto il peso delle cose irrisolte e il recupero è così pesante soprattutto quando mi chiedo come sarebbe andata se……ma poi mi rendo conto che queste domande non fanno altro che debilitarmi e indebolire ulteriormente lo spirito interiore. Quando ci siamo trovati ai bivi dove bisognava scegliere l’uno o l’altro percorso ci chiediamo, soprattutto se non siamo soddisfatti, chissà se avessi preso l’altra strada e si ricomincia cercando nelle ipotesi qualche fantasiosa alternativa più gratificante. Quante sciocchezze percorrono, più veloci di una ferrari, i solchi della mente già di per se contorti e difficili. Non ti chiedo cosa ti sarebbe piaciuto fare perché non mi puoi rispondere e non puoi più farlo e allora ti dico cosa avrei voluto fare io: il medico. Forse avrei potuto curare il tuo corpo ma sono felice perché ti ho parlato di Dio se fossi stata un medico l’ultima notte che abbiamo passato insieme non ti avrei letto la Bibbia ma avrei cercato di indebolire il tuo dolore con altre cose, ti ricordi? E allora non devo rimpiangere nulla spero solo che in quei momenti Dio abbia svuotato il tuo cuore da ogni malessere terreno e l’abbia riempito della Sua luce. So che nella mente di un novizio ci sono una marea di domande e altrettante possibilità di scelta di percorsi mentre nella mente di un esperto le sue vie sono ormai consolidate e difficilmente influenzabili perché i percorsi sono divenuti certezze e le mete sono ormai sentieri già tracciati dalla saggezza e dall’esperienza anche se momenti di debolezza possono far prendere delle decisioni che poi non si riescono a gestire e gettano i semi dai quali poi germogliano rimpianti. A questo punto o si impara a sguazzarci dentro come in una pozzanghera infangata o ci si rassegna. Perché succede non lo so, ci penso spesso agli incroci strani della vita tipo se avessi fatto questo la mia vita sarebbe andata così o se avessi fatto quest'altro....il bello è che giungo anche a conclusioni del tipo " ho perso l'occasione di avere la vita migliore possibile, e adesso non sarà mai più così" e allora partono le nevrosi.

Edited by sefora1 - 5/1/2016, 12:06
 
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view post Posted on 3/5/2018, 22:35
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Il bilancio esistenziale

Non saprei cosa dirti. Come sono arrivata fin qui e in che stato ci sono arrivata, a pezzi sparsi un po’ qua e un po’ là . Quello che posso dirti è che non ho mai creduto in alcune mie possibilità soprattutto in quelle dell’autodifesa, del coraggio e dell’autostima. Si può sempre tornare indietro per aggiustare le scelte squalificanti e non consone alle proprie possibilità. A volte crediamo o ci fanno credere di non valere nulla e quindi chiunque si affacci nella nostra vita ci sembra il massimo e ci sentiamo quasi in dovere di ringraziare quando invece dovrebbe essere il contrario. Tutto questo scaraventa quel “se” iniziale nell’affermazione “ ah se mi fossi amata di più!” Ma questo adesso. Magari allora ritenevo di amarmi evitando scontri. Scontri ai quali avrei dovuto cedere pur di conquistarmi uno spazio mio nella vita...invece pensavo: sto in pace, quindi mi amo. Ma poi, quando uno si rende conto che vuol dire amarsi ci si detesta. E se il morire tranquilla dipendesse da questo sarebbe un’atroce tragedia. Per fortuna non è così. Perché “oltre è l’eterna realtà del mio essere, di fronte alla quale solo il silenzio è giusta voce” (kempis)
Col tempo ho sviluppato la capacità di assorbire tanti scricchiolii senza apparenti reazioni anche se in questo momento nutro delle serie riserve perché spingere al massimo sull’acceleratore su una strada dissestata le possibilità di gravi incidenti non è affatto remota. Gli alibi bisogna eliminarli perché ognuno è colpevole dei fossi che ha preso e non può incolpare la strada. È più facile addossare la colpa agli altri per i propri insuccessi, gli alibi non portano ad una ripresa ma rappresentano un freno, uno stallo e il circuito, se non si corre ai ripari, si blocca definitivamente.
 
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5 replies since 23/6/2014, 10:16   182 views
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