Le stronzate di Pulcinella

RITA ROSANI , LA MESTRINA PARTIGIANA IN GUERRA

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 15/5/2016, 22:33
Avatar

Gold member

Group:
AMMINISTRATORE
Posts:
12,818

Status:





Senza il racconto delle vite «semplici» la grande narrazione rischia di diventare falsa coscienza. È la prima, pavloviana riflessione che viene da fare dopo la lettura del libro di Livio Isaak Sirovich Non era una donna era un bandito – Rita Rosani, una ragazza in guerra (Cierre Edizioni, pp. 540, euro 18). Rita, medaglia d’oro della Resistenza, fu trucidata, a 23 anni, il 17 settembre 1944 sul Monte Comune a nord di Verona in un violento scontro a fuoco tra alcuni partigiani e un battaglione di soldati fascisti e nazisti.

Il titolo del libro allude al dialogo tra un soldato fascista e il suo comandante dopo l’uccisione della giovane partigiana. «E adesso come farà, signor tenente, che ha ucciso una donna?». E la risposta del capo fascista, poi assolto dopo la guerra per insufficienza di prove in uno dei tanti processi benevoli verso i gerarchi, è lapidaria: «Non era una donna, era un bandito». Il racconto degli ebrei, tale era Rita Rosani-Rosenzweig, in quel crogiolo di scontri e complicazioni che era il confine tra Trieste e il mondo slavo, è quanto mai drammatico e pieno di sacrifici incredibili. Tanti autori hanno raccontato la tragedia di quegli ebrei di confine ma Sirovich preferisce ricordare la semplicità di Natalia Ginzburg nel Lessico famigliare: «Chi da anni frequentava gli ebrei centroeuropei in fuga dall’Austria, dalla Germania eccetera, poteva forse essere preparato a un futuro incerto, eppure la Storia bussò con tale violenza anche alla porta degli ebrei triestini, con il calcio del fucile delle leggi razziste italiane, che tutti ne rimasero come tramortiti».

Dunque Rita, nata in famiglia che aveva attraversato gli stati dell’Europa centrale, vive nella Trieste fascista il suo romanzo di formazione come tante coetaneea, ma presto si scontrerà, soprattutto dopo le leggi razziali, con l’odio feroce verso gli ebrei. «A questi falsi italiani, a questi falsi vivi indegni del nostro odio, ma ben degni del nostro disprezzo»: così, sul bollettino della sezione razzista del Guf di Trieste, i fascisti esprimevano la loro rabbia verso la comunità ebraica dove pure non mancavano tanti ebrei che avevano abbracciato anni prima la causa fascista. Perciò a Rita e ai suoi amici «si ruppe dentro qualcosa» ma non la capacità di amare la vita e il futuro. Scrive al fidanzato, Giacomo Nadler, confinato in Calabria e poi in Abruzzo: «In bicicletta non si possono più portare i calzoncini corti. Se tu sapessi quante multe hanno dato domenica alle signorine che non hanno voluto obbedire agli ordini prefettizi».
Scorrono così anni atroci, soprattutto per i giovani ebrei, espulsi dalle scuole, ghettizzati e divisi ferocemente da amici con cui avevano vissuto e studiato fino a poco tempo prima delle leggi razziali. Poi l’incontro con un altro uomo della sua vita, e il passaggio di Rita alla milizia partigiana. Nelle sue incertezze e contraddizioni, proprio perché fu una ragazza qualsiasi, Rita rimane una figura gigantesca.

La sua era una famiglia di ebrei cecoslovacchi (Rosental il nome d’origine), che si era trasferita in Italia. Giovanissima insegnante presso la scuola elementare israelita di Trieste, Rita ebbe le prime dolorose esperienze quando, nel 1938, entrarono in vigore le leggi fasciste antisemite. Lei, come tanti altri ebrei italiani, fu perseguitata con i genitori, ma non lasciò Trieste. Solo dopo l’armistizio convinse i suoi a rifugiarsi in un paesino friulano, salvandoli così dalla deportazione, nella quale sarebbero poi morti tutti i parenti all’estero della famiglia.



Per se stessa Rita scelse la via della resistenza. Prima svolse attività antifascista clandestina a Portogruaro, poi entrò nel movimento partigiano in provincia di Verona, svolgendo attività di collegamento e di organizzazione delle nascenti formazioni combattenti. La giovane insegnante provvide personalmente alla costituzione di una piccola banda (la formazione “Aquila”), che contava in tutto (lei compresa), quattro partigiani. Quelli dell’”Aquila” combatterono per mesi in Val Policella e nella zona di Zevio (Verona) facendo proseliti.

Dopo un anno, nella baita che era diventata la loro base sul monte Camun, si trovavano, con Rita Rosani, una quindicina di combattenti.



Quando furono accerchiati durante un rastrellamento, resistettero per ore. Poi il gruppo decise una sortita. Gli uomini proposero a Rita di dileguarsi dalla parte opposta e per tutta risposta si ebbero un “Vuialtri g’avì voia de schersàr” e la ragazza uscì per prima allo scoperto con un moschetto in mano. Ferita e catturata, Rita fu uccisa con un colpo alla testa da un sottotenente repubblichino che, condannato a vent’anni nel 1945, sarebbe tornato libero poco dopo.

A Trieste e a Verona sono state dedicate a “Rita” strade e scuole. A Verona le è stata intitolata la via dove sorge la Sinagoga. Lì una targa in marmo, datata 30 ottobre 1955, ricorda il suo sacrificio con queste parole: Alla memoria di RITA ROSANI, medaglia d’oro della Resistenza, che immolò la giovane vita per i più alti ideali dell’umanità e perché non si credessero inerti le vittime, incontrastati gli oppressori. Gli ebrei d’Italia ad esaltarne il sacrificio, a tramandarne il ricordo, questa lapide posero nel decimo anniversario della Liberazione>>.



Sia perciò perenne monito l’appello, pronunciato nel 1955, del giurista Piero Calamandrei: Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione>>.

All’età di 23 anni, il 17 settembre 1944 sul Monte Comun, al confine tra la Valpolicella e la Valpantena, Rita Rosani viene ammazzata da un sottotenente repubblichino. Alcune centinaia di tedeschi e fascisti erano saliti per un rastrellamento sulla collina dove si trovava “Rita” con la sua formazione. L’eroica partigiana, assieme ad altri componenti, volle proteggere la ritirata del gruppo costituito da circa una ventina di partigiani. I suoi compagni le avevano proposto di dileguarsi sul versante opposto ma ottennero come ferma risposta: Vuialtri g’avì voia de schersàr>>.



Coraggiosa, affrontò il nemico. Quel giorno, per mano nazifascista, caddero con lei anche altri partigiani combattenti per la libertà.


Questa la motivazione dell’alto riconoscimento: Perseguitata politica, entrava a far parte di una banda armata partigiana vivendo la dura vita di combattente. Fu compagna, sorella, animatrice di indomito valore e di ardente fede. Mai arretrò innanzi al sicuro pericolo ed alle sofferenze della rude esistenza, pur di portare a compimento le delicate e rischiosissime missioni a lei affidate. Circondata la sua banda da preponderanti forze nazifasciste, impugnava le armi e, ultima a ritirarsi, combatteva strenuamente finché cadeva da valorosa sul campo, immolando alla Patria la sua giovane ed eroica esistenza>>.

Rita Rosani è stata insignita della medaglia d’oro al valor militare alla memoria.


 
Top
0 replies since 15/5/2016, 22:33   129 views
  Share