Le stronzate di Pulcinella

"SOLO CON IL GELO SI PUO' FARE TEATRO”, DISSE LO SPRUCIDO EDUARDO

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view post Posted on 11/2/2020, 11:29
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“SOLO CON IL GELO SI PUO' FARE TEATRO”, DISSE LO SPRUCIDO EDUARDO

Il significato è facile: la persona sprucida ha pochi contatti con il mondo, è arrogantr, si mostra spigoloso negli atteggiamenti e nelle parole. Si dice che i “napoletani” abbiano in genere buoni rapporti umani, ma -come sempre- la verità è altra e più complessa. Si, è facile incontrare a Napoli persone ben disposte verso gli altri, pronte all’ascolto, inclini a parlare anche con estranei (ad esempio: nei mezzi pubblici come nelle sale d’attesa, se due parlano tra loro a voce alta, subito troveranno interlocutori pronti ad esprimere la loro opinione, anche se non richiesta), perché l’affabilità (dal latino ad + fari, affabilis, incline a parlare) è molto diffusa: Ma è vero anche che non mancano persone più introverse, non disposte al colloquio, distaccate e gelide. Sprucido è proprio l’epiteto giusto per definire questo tipo di persona. Dal punto di vista etimologico, propendo per la derivazione dal latino pretium preceduto da una “s” privativa, come le parole italiane sprezzo e disprezzo, con le quali condivide il senso di alterigia, che accomuna gli sprucidi a chi disprezza gli altri.
Ma il significato di sprucido è molto più ampio ed esce in tutta la sua complessità in questo giudizio su Eduardo De Filippo di Gianpaolo Santoro, condiviso e citato da tanti altri critici: “Eduardo era un uomo solo. Molto severo, molto rigoroso, soprattutto con se stesso. Una vita all’insegna del rigore e alla ricerca ostinata ed esasperata del perfezionismo. <il gelo -disse- è sempre stato lo stile della mia vita. Solo con il gelo si può fare autenticamente teatro>. Una forma di misantropia, un malcelato senso della vita. Sprucido, scorbutico, scostante, per molti una burbera <canaglia>. Eppure lontano dalle scene era un uomo dolcissimo. Amava moltissimo gli animali, aveva un rapporto molto particolare con i gatti. Quando si sposò con la prima moglie, l’americana Dorothy Pennington, ne aveva diciotto, di gatti. E quando viveva a Parco Grifeo, in una piccola casa mentre scriveva Filumena Marturano e non sapeva come andare avanti dopo il primo atto, una gatta gli entrò dalla finestra, di notte, e gli andò a dormire sulla scrivania, sopra i fogli, sul manoscritto, fra carte e appunti, trasmettendogli una forza strana e misteriosa, muta, intensa: l’ispirazione”.


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