Le stronzate di Pulcinella

GLI ITALIANI E LA SECONDA GUERRA MONDIALE ATTRAVERSO I GIORNALI DELL' EPOCA

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view post Posted on 3/7/2020, 15:40
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Pulcinella291 Forum

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Oggi cominceremo e lo proseguiremo a puntate tutto il percorso storico che va dal 1939 al 1945, considerato il più grande conflitto armato della storia che costò all'umanità sei anni di sofferenze, distruzioni e massacri, con una stima totale di morti che oscilla tra i 55 e i 60 milioni di individui.
Saranno i giornali dell'epoca ad introdurci in tutti gli avvenimenti piu' salienti. Occorre tenere presente che i giornali italiani erano tutti sottoposti alla censura di regime e di controllo sistematico della comunicazione e, in particolare, della libertà di espressione, di pensiero, di parola, di stampa e nella repressione della libertà di associazione, di assemblea, di religione avutasi soprattutto durante il ventennio fascista (1922-1943).

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Alle 4:45 del 1º settembre 1939 la Germania diede inizio alle operazioni militari contro la Polonia: cinque armate della Wehrmacht forti di 1 250 000 uomini, 2 650 carri armati e 2 085 aerei della Luftwaffe invasero la Polonia con un attacco a tenaglia, impiegando l'innovativa tattica militare della guerra lampo o Blitzkrieg.
L'8 settembre i primi carri armati tedeschi giunsero alle porte di Varsavia dando il via a una feroce battaglia, mentre la maggior parte dell'esercito polacco veniva metodicamente accerchiata in sacche isolate e annientata nel giro di due o tre settimane.
Il 17 settembre, in linea con quanto previsto nel patto Molotov-Ribbentrop, l'Unione Sovietica invase la Polonia da est incontrando scarsa resistenza. L'attacco sovietico segnò definitivamente il destino della Polonia: con la popolazione civile ridotta allo stremo, Varsavia si arrese ai tedeschi il 27 settembre 1939; l'esercito polacco fu completamente disarmato entro il 6 ottobre, anche se alcuni reparti riuscirono a rifugiarsi via Romania in Francia dove, il 30 settembre, si era costituito un governo in esilio della Polonia. I territori polacchi finirono spartiti tra tedeschi e sovietici, i quali istituirono durissimi regimi di occupazione responsabili di decine di migliaia di morti.
Francia e Regno Unito dichiararono guerra alla Germania,

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il 9 aprile 1940, la Germania lanciò l'invasione della Danimarca e della Norvegia (operazione Weserübung): gli aeroporti danesi erano importanti per assicurare la difesa aerea del cuore della Germania, mentre dal porto norvegese di Narvik passava un'importante rotta di rifornimento che portava ai tedeschi il minerale ferroso estratto in Svezia; gli stessi anglo-francesi stavano progettando il minamento delle acque norvegesi per interrompere questa rotta (operazione Wilfred), ma furono battuti sul tempo dai tedeschi. La Danimarca capitolò in poche ore dopo una resistenza solo simbolica, mentre i norvegesi opposero una dura opposizione; contingenti di truppe britanniche, francesi e polacche furono inviati ad aiutare la Norvegia, ma l'operazione si rivelò mal progettata e carente di risorse adeguate. Nonostante le forti perdite (la Kriegsmarine perse buona parte delle sue principali unità da combattimento di superficie) i tedeschi furono ben presto in grado di portare a compimento l'occupazione del paese e a indurre alla ritirata gli Alleati entro il 10 giugno.
Mentre la campagna norvegese era ancora in svolgimento, il 10 maggio 1940 la Wehrmacht sferrò la lungamente pianificata offensiva sul fronte occidentale (Fall Gelb) attaccando simultaneamente Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo. L'offensiva fu una straordinaria dimostrazione della potenza militare tedesca.

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Il 5 giugno 1940 i tedeschi diedero inizio alla battaglia per la conquista di Parigi e, temendo che l'Italia potesse restare esclusa dal "tavolo della pace", il 10 giugno Mussolini portò il paese in guerra contro gli Alleati. Le forze italiane, indebolite dai precedenti impegni in Etiopia e in Spagna, non erano però ancora pronte a sostenere un conflitto deficitando gravemente di preparazione e armamenti moderni, ma queste contestazioni furono sbrigativamente rigettate da Mussolini, conscio della situazione italiana ma convinto di un'imminente vittoria tedesca e quindi dell'impellente necessità di entrare in guerra per motivi di prestigio personale e di convenienza geopolitica.
Ma mentre la Germania si apprestava a conquistare Parigi, l'esercito italiano venne schierato lungo la frontiera con la Francia dove intraprese alcune azioni offensive che furono contenute dall'esercito francese, trincerato in favorevoli posizioni difensive sulle Alpi.

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Solo dopo lo sgretolamento dell'Armée française di fronte all'avanzata della Wehrmacht, il governo di Philippe Pétain fu costretto a chiedere l'armistizio alla Germania, la quale impose alla Francia di arrendersi anche all'alleato italiano. Dopo limitati guadagni territoriali e un sostanziale fallimento strategico del Regio Esercito, il 24 giugno 1940 venne firmato a Villa Incisa nei pressi di Roma l'armistizio tra Francia e Italia, che entrò in vigore il giorno seguente, sancendo così la fine delle ostilità e l'inizio dell'occupazione italiana della Francia sud-orientale.

continua


Edited by drogo11 - 3/7/2020, 21:40
 
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I vertici militari italiani, costretti a centellinare le poche risorse disponibili, decisero di muovere le truppe solo in concomitanza con i movimenti dei tedeschi:l'aggressione alla Francia avvenne infatti solo quando la Germania l'aveva già praticamente sconfitta, poi ci fu un periodo di inattività italiana contemporaneo all'inattività tedesca nell'estate 1940, poi le azioni italiane ripresero quando la Germania iniziò la pianificazione dell'aggressione al Regno Unito. Secondo lo storico Ciro Paoletti: «Ogni volta che i Tedeschi si muovevano poteva essere quella decisiva per la fine vittoriosa del conflitto; e l'Italia doveva farsi trovare impegnata quel tanto che bastasse a dire che anch'essa aveva combattuto lealmente e godeva il diritto di sedersi al tavolo dei vincitori»
Nel 1940 l’obiettivo di Mussolini era di avere un nemico da sconfiggere in modo da poter avviare la cosiddetta "guerra parallela" alla Germania; egli, infatti, voleva dimostrare a Hitler (che prendeva le decisioni sull’andamento della guerra senza preventivamente consultarlo) che l'Italia doveva essere considerata potenza militare, politica ed economica di uguale importanza a quella tedesca. Per poter raggiungere il suo scopo, però, aveva bisogno di un avversario militarmente alla sua portata.
Questo avversario sembrava essere la Grecia (governata dal dittatore Joannis Metaxas) in quanto era geograficamente vicina e sembrava avere forze armate deboli, una classe politica poco disposta a battersi e una popolazione poco interessata agli eventi nazionali.
Eppure quando l’Italia entrò in guerra, Mussolini rivolse ai paesi neutrali un appello: “Io dichiaro solennemente che l’Italia non intende trascinare nel conflitto altri popoli con essa confinanti per terra e per mare. Svizzera Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole. Dipende da loro e soltanto da loro se esse saranno o no rigorosamente confermate” . Metaxas credette alla sua buona fede di Mussolini e, incontrando Grazzi, gli confermò che “la Grecia è fortemente decisa a conservare la più stretta neutralità” e che “la Grecia è decisa a difendersi con le armi e l’Inghilterra è stata informata di tale decisione” . A gettare benzina sul fuoco ci pensò il governatore delle isole italiane nell’Egeo, De Vecchi, che continuava ad inviare a Roma segnalazioni che gli aerei inglesi usavano la Grecia per rifornire le proprie navi.
Mussolini si infuriò e la propaganda italiana iniziò ad indirizzare l’opinione pubblica verso una possibile azione militare contro la Grecia fornendo prove e accuse circa la non buona fede dei greci che, a parole, dicevano neutralità assoluta e, nei fatti, aiutavano gli inglesi. Ovviamente tutto questo non era vero ma serviva a trovare una giustificazione per scatenare il conflitto.

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Ma non ando' proprio come i giornali di regime annunciavano.
I due eserciti erano analoghi per armamento ed addestramento. Solo in due settori gli italiani erano superiori: nelle forze corazzate e nella superiorità aerea.
Alle 3 del mattino del 28 ottobre 1940 l’ambasciatore italiano ad Atene Emanuele Grazzi consegnò l’ultimatum al dittatore greco Metaxas; esso conteneva l'accusa alla Grecia di essere venuta meno al suo status di nazione neutrale e di schierarsi apertamente con l'Inghilterra; si esigeva anche di occupare, per tutta la durata del conflitto, alcune zone del territorio greco, ritenute di importanza strategica, con lo scopo di impedire agli inglesi il controllo del Mediterraneo, ultimatum che fu rifiutato dal dittatore greco,
L’offensiva di Mussolini iniziò alle 6 del mattino del 28 ottobre. Cinque ore più tardi Mussolini e Hitler si incontarono alla stazione Santa Maria Novella di Firenze. Solo quando fu a Bologna il Fuhrer apprese “dai giornali”, come voleva Mussolini, dell’attacco italiano in Grecia.

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Nonostante la stampa magnificava vittorie, dopo pochi giorni le truppe italiane sono già in difficoltà. Il 1° novembre scatta in contrattacco greco; le truppe italiane sono bloccate sul fiume Kalamas. Nessuna avanzata sull'Epiro. La divisione alpina Julia presso il passo di Metsovo viene aggredita da sette divisioni greche, di fianco e a tergo puntando sulla conca di Corcia (Korcè), dove le divisioni Parma e Piemonte, e poi Venezia e Arezzo fatte accorrere dal confine iugoslavo, sono anch'esse travolte. I greci minacciano di aggirare tutto lo schieramento italiano raggiungendo la strada Corcia-Perati. (il Ponte di Perati diventerà famoso per gli Alpini italiani della Julia come il "Ponte della Bandiera Nera" una triste canzone degli Alpini .
L'8 Novembre 1940 - Di fronte alla grave situazione, il comando italiano dà l’ordine di ritirata. Ma anche le comunicazioni non funzionano; la Julia viene schiacciata da tre divisioni.
Il giorno dopo arriva l'esonero per il generale Visconti Prasca , il generale Ubaldo Soddu assume il comando del Gruppo di armate di Albania, che raggruppa le divisioni operanti sul fronte greco.
Il 12 Novembre 1940 - La reazione dell'Inghilterra - schierata con la Grecia - non si è fatta attendere; dopo due tentativi su Napoli il 3 il 5 novembre, c'è un massiccio attacco aereo alla base navale di Taranto con pesanti perdite.
Alle Ore 22,40: i siluri di 12 aerei inglesi del tipo Swordfish, decollati dalla portaerei inglese Jllustrious, che naviga a 170 miglia al largo delle coste italiane, nello Ionio, colpiscono nel porto di Taranto le corazzate Cavour e Littorio (quest’ultima, con la gemella Vittorio Veneto, è la più recente della classe e stazza ben 35.000 t).
Ore 23,30: una seconda ondata di 9 Swordfish provenienti come i primi dalla lllustrious sventrano la corazzata Duilio. È un colpo molto duro per la flotta italiana che perde la metà delle sue corazzate.
Altri incrociatori affondano al largo quattro mercantili.
Incursioni di altri aerei su Brindisi, Bari, e ancora Taranto.
La stampa invece parlava solo di qualche successo:
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Il 3 Dicembre 1940 - Gli italiani in Grecia sono costretti a ripiegare e perdono (con le ostilità dei locali) anche un terzo dell'Albania dove erano già arretrati . Mussolini per evitare la disfatta, ormai impantanato "nel fango", è costretto a chiedere urgenti aiuti a Hitler.
Unica consolazione è che i greci nonostante si battono come leoni, manca a loro i mezzi di locomozione rapidi, mancano autocarri, mezzi corazzati e artiglieria controcarro: e gli "amici" i britannici non sono in grado di fornirli.
A Valona in Albania è sbarcata come rinforzo anche la divisione alpina Tridentina, ma gran parte dei soldati non riescono a individuare le linee e si sbandano. Neve e freddo intenso provocano numerosi casi di congelamento.
Cadono le prime teste. Il 9 novembre, Visconti Prasca viene privato del comando, promosso a metà e mandato a guidare l’ XI armata. Lo sostituisce il generale Ubaldo Soddu, sottosegretario alla Guerra, sottocapo di stato maggiore e, a tempo perso, compositore di musiche da film. “Vedrai” dice a Visconti subito dopo l’avvicendamento “ collaboreremo, vinceremo e diventeremo entrambi Marescialli d’Italia”. Ancora le ambizioni personali. Ma due giorni dopo, Visconti Prasca è definitivamente allontanato dall’esercito e in Albania, al comando dell’XI armata, torna il generale Carlo Geloso.
Si apre la caccia ai colpevoli del disastro. Badoglio, abbandonato da tutti, attaccato duramente sul giornale di Farinacci, il Regime Fascista , viene fatto fuori. Presagendo la tempesta, aveva cercato di coprirsi le spalle, annotando sul diario ufficiale dello stato maggiore: io l’avevo detto che invadere la Grecia con meno di venti divisioni sarebbe stata una pazzia.
La neve ed il ghiaccio fara' il resto.
Al fronte i nostri soldati ricorrono a ogni mezzo possibile per evitare le temuta e subdola “ morte bianca”. Si avvolgono i piedi e le gambe in pelli di gatto, di capra, di coniglio, di mulo; si sbarazzano dei guanti di lana autarchica arrivati dall’Italia: si inzuppano d’acqua, gelano e stringono le mani in una morsa letale. Estraggono il cervello ancora palpitante dei muli agonizzanti, se lo mettono sotto l’elmetto per tenersi calda la testa e poi se lo mangiano. Crudo.
Le uniformi sembrano fatte di cartone: si ispessiscono e si irrigidiscono, non riparano dal freddo e non conservano il calore corporeo.
I tedeschi sono sempre più insofferenti. Hitler non è contento di come vanno le cose, offre sempre più insistentemente soldati, non risparmia critiche e prima o poi interverrà: bisogna sbrigarsi , attaccare e ancora attaccare, riportare qualche vittoria per risollevare un prestigio assai compromesso, tuona Mussolini.
Ancora una volta, però, ad attaccare sono i greci. Prima conquistano Himara, sulla costa albanese, travolgendo una stanchissima Julia e una sfortunatissima Siena,bombardata per errore dai nostri aerei.
Fu cosi' che Hitler si decise ad intervenire.
Il 4 novembre 1940 prese quindi la decisione di intervenire nei Balcani, e il 12 novembre l'Oberkommando der Wehrmacht emanò una direttiva per definire l'operazione: l'invasione tedesca della Grecia, da attuarsi nel gennaio 1941 mediante un raggruppamento di 10 divisioni a partire dal territorio della Bulgaria.
La Grecia non era pronta a sostenere un attacco tedesco dalla Bulgaria. Da tempo malato, Metaxas morì il 29 gennaio 1941 per le complicazioni seguite a un intervento chirurgico.
L'avanzata tedesca oltre l'Aliacmone minacciava di tagliare fuori l'intero dispositivo greco in Albania, ma solo il 12 aprile Papagos si decise a ordinare il ripiegamento delle sue divisioni dal fronte greco-italiano anche se per le resistenze dei comandanti sul campo, più che restii e contrariati al pensiero di abbandonare le loro conquiste, il movimento non iniziò prima del 13 aprile. Le forze italiane si spinsero avanti nel vuoto lasciato dai greci in ritirata: si verificarono ancora diverse azioni di retroguardia, sebbene il morale e la coesione dei reparti greci peggiorassero di giorno in giorno. Il 14 aprile le truppe italiane rioccuparono Coriza, seguita il 18 aprile da Argirocastro; quello stesso giorno i tedeschi erano in prossimità di Larissa, con il reggimento "Leibstandarte" che puntava su Giannina dopo aver sostenuto duri scontri al passo di Metsovo sul Pindo. Il comando greco era allo sbando: il generale Pitsikas, al comando dell'Armata dell'Epiro, voleva che fosse firmato un armistizio con ancora le truppe greche insediate in territorio albanese, ma Papagos e il re Giorgio II gli intimarono di resistere a oltranza.
Fu tutto inutile , i greci offrirono la resa ai tedeschi in un incontro con il comandante del "Leibstandarte" Josef Dietrich a Giannina. L'armistizio era tutto in chiave anti-italiana: non ci sarebbe stata resa dei reparti greci all'Italia, le unità tedesche si sarebbero interposte tra le truppe italiane e quelle greche una volta che queste avessero evacuato il territorio albanese fermandosi alla frontiera, i soldati ellenici sarebbero stati smobilitati senza essere presi prigionieri e gli ufficiali avrebbero conservato il loro armamento personale.
I toni dell'armistizio firmato da Dietrich scatenarono le proteste di Mussolini: il feldmaresciallo List non convalidò il testo e obbligò Tsolakoglu a firmarne un altro il 21 aprile che imponeva sostanzialmente una resa incondizionata delle forze greche, ma Cavallero ordinò di proseguire le operazioni in modo da penetrare il più possibile in territorio nemico. La confusa situazione venutasi a creare tra greci in ritirata e le truppe italiane che via via si imbattevano nei tedeschi avanzanti fu infine risolta nel pomeriggio del 22 aprile, quando Tsolakoglu si convinse a inviare dei suoi plenipotenziari a chiedere la resa anche agli italiani; alle 14:45 del 23 aprile a Giannina fu infine siglato l'armistizio conclusivo delle ostilità sul fronte greco-albanese: firmarono Tsloakoglu per la Grecia, il generale Alfred Jodl per la Germania e il generale Alberto Ferrero per l'Italia.
Continua
 
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La campagna italiana di Russia rappresentò la partecipazione militare del Regno d'Italia all'operazione Barbarossa, lanciata dalla Germania nazista contro l'Unione Sovietica nel 1941.
L'impegno di prendere attivamente parte all'offensiva tedesca fu deciso da Benito Mussolini alcuni mesi prima dell'inizio dell'operazione, quando venne a conoscenza delle reali intenzioni di Adolf Hitler, ma fu confermato solo nella mattinata del 22 giugno 1941, non appena il dittatore italiano fu informato che quello stesso giorno le armate tedesche avevano dato il via all'invasione.
All'inizio dell'estate 1941 l'Italia era in guerra da poco più di un anno, e aveva già collezionato una serie di gravi sconfitte militari che avevano messo in evidenza le grosse lacune di cui soffrivano il suo esercito e i suoi comandanti. Il Regno d'Italia aveva perso il controllo dell'Africa Orientale Italiana a favore dei britannici e della resistenza etiope, in Libia i carri armati britannici minacciavano seriamente Bengasi, Tripoli e i possedimenti coloniali italiani in Nordafrica, sul mare la Regia Marina aveva subito ingenti perdite per mano della Mediterranean Fleet, mentre l'azzardo dell'aggressione alla Grecia era stato salvato dal totale fallimento grazie al provvidenziale intervento delle divisioni tedesche inviate in soccorso dell'esercito italiano.
Mussolini aveva accettato con grande riluttanza la stretta di mano tra Ribbentrop e Stalin, così che non appena la guerra con l'Unione Sovietica apparve inevitabile[7], dichiarò che «l'Italia non può rimanere estranea perché si tratta di lottare contro il comunismo», ma i motivi per cui Mussolini volle ostinatamente partecipare alla campagna però non sono univoci e chiari. I piani predisposti dai tedeschi non prevedevano l'iniziale partecipazione italiana, ma solo quella di Finlandia e Romania, paesi confinanti con l'URSS e con ampi contenziosi da riscattare..; da parte sua, Hitler non intendeva coinvolgere gli italiani e cercò ripetutamente di dissuadere Mussolini dall'intento, sottolineando i rischi dell'impresa e suggerendogli, più o meno velatamente, di rafforzare gli effettivi in Nordafrica (dove pochi mesi prima, per ristabilire la situazione, i tedeschi erano stati costretti a inviarvi l'Afrika Korps al comando del feldmaresciallo Erwin Rommel) e possibilmente rivolgere lo sguardo da Tripoli verso occidente, costituendo un contingente che potesse intervenire in caso la Francia violasse i trattati, e intensificando la guerra aerea e sottomarina nel Mediterraneo.

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La decisione di Mussolini di partecipare immediatamente all'offensiva si iscrive dunque nel quadro di una guerra subalterna all'alleato tedesco.
Ma sappiamo tutti come ando' a finire.
I soldati italiani morirono a migliaia di fame, di stenti, di freddo e del piombo sovietico.
Il 10 luglio 1941 il duce invia in Unione Sovietica 62mila soldati del Csir, Il Corpo di spedizione italiano. Poi nel 1942 è Hitler a chiedere sostegno a Mussolini. Vengono inviati altri soldati e si costituisce l’Armir, l’Armata italiana in Russia con 7 divisioni, di cui 3 alpine. Il numero dei nostri connazionali sale a 229mila. L’Armir viene subito chiamato a fronteggiare i russi nella 1ᵃ battaglia difensiva del Fiume Don. Nel novembre 1942 i russi contrattaccano e chiudono in una sacca sul Volga e sul Don i tedeschi. Il 16 dicembre i sovietici sferrarono una grande offensiva che investe le divisioni italiane di fanteria schierati sul medio Don. Il fronte nazi-fascista viene rotto un mese dopo tra il 16 e il 17 gennaio del 1943 I comandi italiani ordinano di ripiegare. Inizia la lunga ritirata. Attanagliati dal gelo i soldati italiani ripiegano fino a Nikolajevka. Qui il 26 gennaio 1943 l’ultimo capitolo del dramma nella steppa. Infine la prigionia che porterà gli italiani prima ad essere rinchiusi nei lager tedeschi poi nei gulag sovietici.

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Si calcola che furono fatti prigionieri oltre 64mila persone: di questi, nel 1945 e nel 1946, ne tornarono 10.032. Nel solo campo di Tambov, che ospitava 23mila prigionieri, da fine 1942 al giugno 1943 rimasero in vita 3.400 soldati. E ancora, di 7mila alpini della Julia, ne sopravvissero 1.200.
La campagna di Russia rimarrà per molto tempo nella memorialistica italiana perché, insieme alla campagna d’Africa in Egitto, fu quella dove i soldati italiani furono duramente messi alla prova nello spirito e nelle sofferenze fisiche.
continua
 
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Campagna d'Africa (1940-1943)
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Le operazioni in Africa Settentrionale iniziarono il 10 giugno 1940, al momento della dichiarazione di guerra. I soldati italiani, al comando del generale Rodolfo Graziani, più numerosi, ma peggio armati ed organizzati, dopo un'iniziale offensiva nel settembre-ottobre dello stesso anno, si spinsero fino a Sidi-el-Barrani a 90 Km dalla frontiera egiziana. Un deciso contrattacco inglese, appoggiato da mezzi corazzati e da una forte aviazione, travolse le divisioni italiane in Egitto, riuscendo persino ad invadere la Cirenaica e conquistarla. Il morale delle truppe italiane, scosse e disorganizzate, scese molto in basso, ma il comando inglese non poté approfittarne per tentare la conquista della Tripolitania. Uomini e mezzi dovettero essere trasferiti in Grecia, dove le truppe italiane erano in forte difficoltà. Mussolini constatando la gravità in cui si trovavano i soldati italiani in Libia, accettò l'offerta d'aiuto di Hitler. Un'armata tedesca, totalmente corazzata e meccanizzata, addestrata per la guerra nel deserto, fu inviata in Africa sotto il nome di Afrikakorps. Il comando dei reparti fu affidato a Erwin Rommel, un brillante ufficiale che si era distinto in Francia, al comando di una divisione corazzata.

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Erwin Rommel, con la sua armata corazzata (l'Afrikakorps), iniziò subito una serie di abili contrattacchi, che gli permisero di riconquistare il territorio perduto dagli Italiani. Utilizzò per lo scopo vari stratagemmi, come il truccare delle macchine Volkswagen a carri armati, in modo da far credere al nemico di trovarsi davanti a forze superiori. Furono così riconquistate tutte le città della Cirenaica, tranne Tobruk dove la guarnigione inglese resistette agli assalti nemici. Seguì poi un'altro attacco inglese (Operazione Crusader), che costrinse gli Italo-Tedeschi ad abbandonare nuovamente la regione. In questo modo all'inizio del gennaio del 1942, la situazione si presentava così: gli inglesi attestati saldamente nella parte orientale della Libia e gli Italo-Tedeschi rimasti in Tripolitania con pochi mezzi, schierati sulla difensiva. Rommel però ricevette di nuovo cospicui aiuti, grazie alle rotte dei convogli nel Mediterraneo rese più sicure, per il continui bombardamenti a cui era sottoposta Malta, i quali ridussero l'isola all'impotenza. Incominciò così una nuova potente offensiva, che colse le forze inglesi totalmente impreparate. Le posizioni perdute furono riconquistate e anche Tobruch venne presa di slancio, senza approntare un lungo assedio. Le truppe nemiche furono costrette alla ritirata, ma non annientate come si sperava, nonostante ciò in campo tedesco e italiano si era sicuri in quel momento di poter raggiungere al più presto il Canale di Suez. Perfino Mussolini arrivò in Libia per fare l'entrata trionfale ad Alessandria. Con questo ottimismo dunque, l'esercito Italo-Tedesco si preparò ad assaltare le ultime linee di difesa nemiche ad El Alamein.
La prima battaglia di El Alamein si registrò il 1 Luglio 1942 quando Rommel, nonostante fosse consapevole della scarsità di mezzi materiali e umani, tentò la fortuna attaccando le truppe inglesi a Nord del loro schieramento utilizzando la 90.ima Divisione Leggera tedesca che impegnò le truppe inglesi tra El Alamein e Ruweisat, mentre le due divisioni corazzate dell’Africa Korps e il 20° Corpo italiano tentarono l’aggiramento da Sud: le truppe di Auchinleck, il comandante inglese, si batterono egregiamente spronate dall’idea, in caso di sconfitta, di dover lasciare il suolo africano da sconfitti.
L’ attacco a Sud non ebbe alcun successo in quanto finì tra le truppe indiane che provocarono un arresto inaspettato alla “sorpresa” di Rommel che vide il suo piano di battaglia completamente scompaginato.

I giornali scrivevano invece cosi':

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La seconda battaglia di El Alamein si concluse con un forte bilancio di perdite per le truppe dell’ Asse: 530 caduti, 1350 feriti, 570 dispersi nonché 490 tra carri ed altri mezzi fuori combattimento. La vittoria inglese non fu però da attribuire alla superiorità delle sue forze bensì alle notizie che Ultra intercettò da Enigma ed alle incertezze di un ormai spento Rommel.
Dopo le indecisioni palesate dall’armata italo – tedesca e dal suo comandante, l’iniziativa passò nelle mani del generale Montgomery che, parafrasando le parole del generale Patton si “preoccupò più di non perdere la battaglia che di vincerla”. Il comandante inglese decise di potenziare la “sua” VIII Armata, in modo da avere un rapporto di forze il più possibile favorevole. Per questo motivo non si sarebbe potuto attaccare a Settembre e dato che per l’offensiva era necessario aspettare un giorno di luna piena si optò per il 23 Ottobre. Per quel giorno tutto sarebbe stato approntato per l’Operazione Lightfoot ( Piede leggero).

Un’altra ragione che indusse lo Stato Maggiore inglese a scegliere questa data fu quella che gli USA avevano in piano di inviare un corpo di spedizione contro la Germania facendolo sbarcare in Marocco ed in Algeria. L’Operazione Torch sarebbe scattata l’8 Novembre e con le truppe di Rommel impiegate ad El Alamein l’esercito USA avrebbe dovuto fronteggiare poche e demotivate truppe francesi che presidiavano le colonie africane.

La terza ed ultima battaglia di El Alamein .

Alle 20.40 del 23 Ottobre scattò l’offensiva inglese: quasi 1000 cannoni illuminarono a giorno un tratto di 50 Km. di fronte seguiti dai 1100 carri e dagli oltre 220 mila uomini. L’incessante gragnola di colpi colse del tutto impreparati i vertici delle truppe italo – tedesche che si sarebbero aspettate un attacco a settentrione ma non in quella data: ore di completa confusione colsero lo Stato Maggiore della Panzerarmee, tutti cercavano notizie ma nessuno le seppe fornire e a completare ulteriormente il quadro ci pensò la morte del Generale Stumme.

Una prima notizia fu che gli Inglesi non erano riusciti nel loro intento principale: aprire dei varchi nei campi minati del crinale di Miteirya in modo da raggiungere il deserto coi loro mezzi corazzati. Malgrado la confusione i reparti di prima linea avevano reagito con prontezza, tra queste la più provata risultava essere la Folgore che resse l’urto nel settore centrale perdendo cinque delle sue compagnie. A nord tra Tell el Elisa ed il mare gli Australiani attaccarono con scersi risultati le posizioni del 7° Bersaglieri mentre tra Tell el Elisa e il Kidney Ridge gli avamposti della “Trento” e della 164.ima dovettero cedere dopo aspri combattimenti.

Fu proprio quella sera che Montgomery, sotto pressione sia da Londra che dai suo comandanti, si trovò a fronteggiare la concreta possibilità di un fallimento. Aveva previsto di sfondare in ventiquattro ore e invece la Panzerarmee aveva retto, nonostante tutto.

Con la morte di Stumme il feldmaresciallo Rommel fu costretto ad un tempestivo rientro in linea e subito parti all’attacco, rinfrancato dalla notizie che preziosi rifornimenti di carburante sarebbe giunti in porto. La notizia, ovviamente, fu intercettata e le cisterne affondate.

Nelle giornata del 28 riprese intenso l’attacco dell’VIII armata a Nord dove le truppe inglesi volevano superare l’altura di Kidney Ridge ma la risposta dei caposaldi nemici non si fece attendere seppur con forti perdite. A Sud l’11.ima e 12.ima compagnia della Folgore tennero le posizioni a prezzo di ulteriori perdite ma gli Inglesi abbandonarono sul campo 22 carri. Stessa sorte ebbero gli attacchi notturni che spinsero Montgomery a bloccare le offensive in quel settore e concentrarsi maggiormente in quello nord. Convinto di questo, Rommel decise di spostare in quel settore la 21.ima panzer, la 90.ima Divisione leggera e la “Trieste”.

Lo stesso Montgomery a causa delle gravi perdite subite dall’VIII armata decise di rallentare il ritmo delle azioni per riorganizzare i propri reparti prima dell’attacco conclusivo.

Il 29 dopo due giorni di relativa calma l’VIII armata tornò all’attacco. La Divisione australiana del generale Morshead sfondò le difese tedesche della 90.ima leggera e dilagò fino alla costa accerchiando un battaglione bersaglieri e due tedeschi che riuscirono ad aprirsi un varco poche ore dopo. Dopo una settimana di lotta iniziavano a vedersi i segni della stanchezza e della mancanza di rifornimenti: i serbatoi dei carri erano quasi vuoti ma si continuava a combattere, a resistere e a morire a prezzo di gravissime perdite ed altissimi sacrifici.
Furono questi atti di eroismo e tenacia che spinsero “Monty” ad attaccare nel settore Sud per cercare di sfondare le linee nemiche. All’una di notte del 2 Novembre scatenò l’attacco che in nome in codice fu definito “Supercharge”: 800 carri e 360 cannoni entrarono in azione per permettere alla fanteria di raggiungere la collina di Tell el Aqqaqir, ma, nonostante le nostre truppe fossero sfibrate da giorni di lotta e mancassero completamente di acqua e cibo, gli Inglesi non riuscirono a raggiungere nessuno degli obiettivi. All’alba reparti della 15.ima e 21.ima Divisione corazzata e i resti della Littorio e della Trieste contrattaccarono senza risultati ma con gravissime perdite: la Littorio rimase con soli 20 carri mentre la Trieste perso un battaglione fanteria e quello carri. La stessa fora inglese perse in numero spropositato di carri, la sola IX Brigata ne abbandonò 47 sul terreno.

Durante la mattinata Rommel prese, però, la decisione di ritirarsi lasciando ammutoliti sia il comando italiano che l’OKW tedesco che finalmente comprese quanto grave fosse la situazione. Nonostante questo l’ordine di Hitler fu “vittoria o morte” impedendo così il ripiegamento delle truppe verso Fuka e una posizione più sicura.

Il giorno 4, intanto, si continuava a combattere. L’offensiva inglese riprese con nuovo slancio e vigore sia verso nord, dove gli Australiani cercarono di dirigersi verso la costa, sia al centro dove la 1.a Divisione corazzata inglese riusci a sfondare tra la 15.ima e 21.ima Divisione corazzata tedesca. A sud, invece, le divisioni Trento e Bologna cedettero di schianto e l’Ariete si consumò sul posto: celebri sono gli ultimi messaggi radio “Ariete accerchiata, Ariete continua a combattere”. A sera il XX Corpo Italiani sarà annientato dopo una lotta impari contro 100 carri inglesi. Solo 200 bersaglieri riuscirono a disimpegnarsi.

Soltanto la Trieste, unica ad aver mantenuto un certo equipaggiamento, riuscì a retrocedere ordinatamente, le altre divisioni, Pavia, Bologna, Trento, Brescia e Littorio ormai erano ridotte a piccole unità. Altra divisione a coprirsi di gloria fu la Folgore che solo alle 14 del giorno 6, esauriti gli ultimi proiettili da 47 e le ultime cartucce, si arrese suscitando l’ammirazione del nemico.

Dopo 12 giorni di lotta per le truppe italo – tedesche iniziò il massacrante ripiegamento. Nei giorni seguenti oltre 35 mila soldati saranno fatti prigionieri. Nel suo complesso si registreranno:

· 9 mila morti o dispersi

· 15 mila feriti

· 400 carri distrutti

I tre corpi d’Armata italiani ( 10°, 20° e 21°) non esistevano più mentre l’VIII armata inglese registrò 5000 morti, 9 mila feriti e 500 carri distrutti.

 
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Per l'Italia la situazione militare all'inizio del 1943 appariva del tutto negativa: il collasso del fronte africano il 4 novembre 1942 e l'invasione alleata del Nordafrica esposero a sua volta l'Italia all'invasione da parte delle Forze Alleate. La disfatta dell'8ª Armata italiana durante la campagna di Russia, gli intensi bombardamenti alleati delle città italiane, e la crescente mancanza di generi di prima necessità e materie prime, demoralizzarono la popolazione: era chiaro che la maggioranza del popolo voleva la fine della guerra e la denuncia dell'alleanza con la Germania. Per mantenere l'ultima roccaforte dell'Asse in Africa, la Tunisia, l'Italia abbisognava dei massicci aiuti tedeschi. Oltretutto, Mussolini era ancora persuaso che le sorti della guerra si sarebbero risolte nel fronte del Mediterraneo, e voleva convincere Hitler a cercare una pace separata con la Russia di Stalin e a muovere a sud l'Esercito tedesco. All'incontro tra i due tenutosi a Klessheim, il 29 aprile 1943, espose le sue idee al Führer, che le rigettò. La richiesta pressante di rinforzi per difendere la Tunisia fu rifiutata dalla Wehrmacht, che non confidava più nella volontà di resistenza dell'Italia. All'aggravamento della situazione militare si aggiungeva un altro principale fattore di incertezza, la salute di Mussolini: depresso e malato, dopo mesi di forti dolori addominali, gli furono diagnosticati la gastrite e la duodenite di origine nervosa, escludendo, con qualche esitazione, la possibilità di un cancro. A causa dei suoi malesseri, Mussolini fu spesso costretto a restare a casa, privando l'Italia di un'effettiva guida.
In questa situazione, gruppi appartenenti a 4 differenti circoli - la corte reale, i partiti antifascisti, i fascisti, lo stato maggiore delle forze armate - iniziarono la ricerca di una via d'uscita.
La caduta di Tunisi, il 13 maggio 1943, cambiò radicalmente la situazione strategica. Ora l'Italia era esposta direttamente all'invasione Anglo-Americana e a metà maggio il Re iniziò a considerare il problema di come uscire dalla guerra: era il pensiero espressogli dal Duca Pietro d'Acquarone, Ministro della Real Casa, molto preoccupato per il futuro stesso.
Il 4 giugno il Re concesse un'udienza a Dino Grandi[5], che era ancora il presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, pur essendo stato rimosso dal Governo.
Durante il loro ultimo incontro, avvenuto prima del 25 luglio, Grandi comunicò al Re il proprio ambizioso piano per eliminare Mussolini e difendere l'Italia dai Tedeschi.
Il Re rispose che si considerava un monarca costituzionale: si sarebbe mosso solo dopo un voto del Parlamento o del Gran Consiglio del Fascismo per deporre Mussolini.

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La notte del 10 luglio 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia: sebbene ampiamente attesi, dopo un'iniziale resistenza le Forze Italiane furono travolte e in diversi casi, come ad Augusta - la piazza più fortificata dell'isola - esse si arresero senza nemmeno combattere. Nei primi giorni, sembrava che gli Italiani potessero difendere l'isola, ma ben presto divenne chiaro che la Sicilia sarebbe stata persa.
In quei giorni, il solo gerarca che aveva un chiaro piano per uscire dall'impasse fu Dino Grandi: bisognava deporre Mussolini, poi lasciare al Re il compito di formare un Governo senza fascisti e contemporaneamente attaccare l'Esercito tedesco in Italia. Solo così si sarebbe potuto sperare di mitigare le dure condizioni decise dagli Alleati a Casablanca per i Paesi nemici.
Alle 17:00 del 24 luglio 1943 i 28 membri del Gran Consiglio del Fascismo si incontrarono attorno a un massiccio tavolo a forma di U nella "Stanza del pappagallo" di Palazzo Venezia. I consiglieri erano tutti in uniforme fascista con sahariana nera. Il posto di Mussolini era un'alta sedia, e il suo tavolo era decorato con un drappo rosso coi fasci. Per la prima volta nella storia del Gran Consiglio, né le guardie del corpo di Mussolini - i Moschettieri del Duce - né un distaccamento dei battaglioni "M" erano presenti nel massiccio palazzo del Rinascimento. Il segretario del Partito Nazionale Fascista Carlo Scorza effettuò l'appello. Grandi richiese a Scorza la presenza di uno stenografo, ma Mussolini si oppose; ufficialmente nessun verbale fu redatto.
Mussolini iniziò a parlare per primo, riassunse la situazione bellica .
Poi Grandi illustrò il suo ordine del giorno con il quale chiedeva in sostanza il ripristino "di tutte le funzioni statali" e invitava il Duce a restituire il comando delle forze armate al re. Presero la parola alcuni gerarchi, ma non per affrontare gli argomenti degli O.d.G., bensì per fare chiarimenti o precisazioni. Si attendeva un intervento incisivo del capo del governo. Mussolini, invece, affermò impassibile di non avere nessuna intenzione di rinunciare al comando militare. Si avviò il dibattito che si protrasse fino alle undici di sera. Grandi diede un saggio delle sue grandi capacità oratorie: dissimulando abilmente lo scopo reale del suo O.d.G., si produsse in un elogio sia di Mussolini sia del re.
Anche lo stesso Ciano prese parola per difendere l'O.d.G. contestando le parole del suocero Mussolini.
I 28 componenti del Gran Consiglio furono chiamati a votare per appello nominale. La votazione sull'ordine del giorno Grandi si concluse con:

19 voti a favore (Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Galeazzo Ciano, Cesare Maria De Vecchi, Alfredo De Marsico, Umberto Albini, Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, Emilio De Bono, Edmondo Rossoni, Giuseppe Bastianini, Annio Bignardi, Alberto de' Stefani, Luciano Gottardi, Giovanni Balella e Tullio Cianetti, che il giorno dopo scrisse a Mussolini ritrattando il suo voto);
7 voti contrari (Carlo Scorza, Segretario del PNF, Guido Buffarini-Guidi, Enzo Emilio Galbiati, Comandante della Milizia, Carlo Alberto Biggini, Gaetano Polverelli, Ministro della Cultura popolare, Antonino Tringali Casanova, Presidente del Tribunale speciale, Ettore Frattari, Confederazione dei datori di lavoro dell'Agricoltura);
un astenuto (Giacomo Suardo);
Roberto Farinacci, invece, uscì dalla sala, non partecipando così al voto concernente l'ordine del giorno Grandi.

Dopo l'approvazione dell'O.d.G. Grandi, Mussolini ritenne inutile porre in votazione le altre mozioni e tolse la seduta. Alle 2:40 del 25 luglio i presenti lasciarono la sala.

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Riepiloghiamo.
il Gran Consiglio del Fascismo dopo dieci ore di discussione, dell’ordine del giorno di Dino Grandi , aveva chiesto che il Capo del Governo (Mussolini) restituisse al Re «… l’effettivo comando delle Forze Armate e quella suprema iniziativa di decisione.
In chiare lettere le dimissioni di Mussolini.
Il giorno dopo, il 26 di luglio, a villa Savoia si aspetta l'arrivo del Duce.
Il re aveva già predisposto l'arresto di Mussolini, nonostante animate discussioni con la Regina, fermamente indignata perché l’arresto era stato predisposto in casa sua, contravvenendo alle regole dell’ospitalità.
. Il Re entra nel salotto, seguito dal Duce, che ricorda di averlo notato «in uno stato di anormale agitazione e con i tratti del volto sconvolti» dice: «…Caro Duce, le cose non vanno più. L’Italia è in tocchi. L’Esercito è moralmente a terra. I soldati non vogliono più battersi. Gli alpini cantano una canzone nella quale dicono che non vogliono più fare la guerra per conto di Mussolini. II voto del Gran Consiglio è tremendo. Diciannove voti per l’ordine del giorno Grandi: fra essi quattro Collari dell’Annunziata. Voi non vi illudete certamente sullo stato d’animo degli italiani nei vostri riguardi. In questo momento voi siete l’uomo più odiato d’Italia. Voi non potete contare più su di un solo amico. Uno solo vi è rimasto, io. Per questo vi dico che non dovete avere preoccupazioni per la vostra incolumità personale, che farò proteggere. Ho pensato che l’uomo della situazione è, in questo momento, il Maresciallo Badoglio. Egli comincerà col formare un ministero di funzionari, per l’amministrazione e per continuare la guerra. Fra sei mesi vedremo. Tutta Roma è già a conoscenza dell’ordine del giorno del Gran Consiglio e tutti attendono un cambiamento…».
A questo punto il Re prosegue: «le condizioni interne della Germania sono gravissime. Io devo intervenire per salvare il Paese da inutili stragi e per cercare di ottenere dal nemico un trattamento meno disumano». Il Duce sussurra in maniera stanca qualche parola e domanda: «Ed io, ora, cosa debbo fare?». Replica il Re ad alta voce: «…Rispondo io con la mia testa, della vostra sicurezza personale, statene certo…» e prosegue accompagnandolo alla porta «…mi dispiace, mi dispiace, ma la soluzione non poteva essere diversa…». Mussolini racconterà poi: «…Nel salutarlo mi parve ancora più piccolo, quasi un nano, ma mi strinse la mano con grande calore…».
Mussolini, accompagnato dal segretario, si avvia verso l’uscita e, sceso dalle scale, viene affrontato dal capitano Vigneri mentre l’altro capitano, Aversa, si porta alle sue spalle.

Vigneri saluta militarmente e sull’attenti esclama: «Duce, in nome di Sua Maestà il Re, vi preghiamo di seguirci per sottrarvi ad eventuali violenze della folla».

«Non ce n’è bisogno» replica con tono stanco e implorante.

«Duce, io ho un ordine da eseguire», è la ferma risposta dell’ufficiale. «Allora seguitemi» dice Mussolini, e si avvicina alla sua macchina ferma, senza autista, a ridosso di una siepe. Ma il capitano Vigneri, spostandosi a sua volta, gli si para innanzi: «No, Duce, deve venire con la mia macchina!». Mussolini, ammutolito e rassegnato, si avvia quindi verso l’ambulanza ed ha un attimo di esitazione prima di salire a bordo, ma viene sollecitato da Vigneri che, presolo per il gomito, lo aiuta a salire, seguito da De Cesare.

Quando Mussolini protesta perché a bordo dell’ambulanza vengono fatti entrare oltre ai tre agenti di PS anche i tre sottufficiali dell’Arma, Vigneri allarga le braccia per fargli capire che non c’è niente da fare e sollecita gli uomini ordinando «Su, ragazzi, fate presto».

Con un caldo soffocante l’ambulanza con dieci persone a bordo si avvia lungo i viali inghiaiati del parco ed esce da un cancello secondario. Mussolini, pallidissimo, non dice una parola; ogni tanto si porta l’indice alla radice del naso, ma tiene gli occhi bassi.

L’autoambulanza giunge così nel cortile della caserma Podgora. Gli uomini scendono, per ultimo Mussolini, con al suo fianco Vigneri che alla sua richiesta «È una caserma dei carabinieri questa?…» risponde «Sì, Duce» e lo accompagna al Circolo Ufficiali.

Dopo una breve sosta, scortato dagli stessi uomini, a bordo della medesima ambulanza verrà poi condotto nella caserma della Legione Allievi Carabinieri di Via Legnano e lungo il tragitto avrà occasione di lamentarsi per l’eccessiva velocità commentando: «Se portate così i feriti non so come giungeranno vivi!».
Rimase nella caserma di Via Legnano ben poco perché quello «scomodo» prigioniero venne inviato, verso le 22 del 27 luglio, a Gaeta, ove venne imbarcato sulla torpediniera Persefone alla volta di Ventotene e delle altre isole del Tirreno.

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Il Gran Sasso e in particolare Campo Imperatore sono stati teatro di uno degli eventi storici che ha segnato il destino dell’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Il 25 luglio del 1943 a Villa Savoia Re Vittorio Emanuele III comunicò al Duce, Benito Mussolini, che il Gran Consiglio del Fascismo aveva imposto la nomina del maresciallo Pietro Badoglio come suo successore al Governo. Mussolini viene arrestato dai carabinieri e portato prima sull’isola di Ponza e poi il 2 settembre sul Gran Sasso a Campo Imperatore. Non passarono però neppure dieci giorni, è il 12 settembre, che per ordine di Adolf Hitler alcune SS e l’ex ufficiale Otto Skorzeny diedero il via a quella che in codice fu chiamata “Operazione Quercia”, Fall Eiche in tedesco, e che portò alla liberazione del Duce. Un autentico blitz portato a termine a oltre 2 mila metri di altitudine proprio sotto lo sperone del Gran Sasso.
Le cronache raccontano che una decina di alianti atterrarono tra le rocce, i tedeschi scesero ed entrarono a Campo Imperatore per prelevare Mussolini per poi portarlo - facendolo salire su un “Cicogna”, aereo leggero da ricognizione sceso sul pianoro davanti a Campo Imperatore - al cospetto di Hitler. Ci arriverà il 14 settembre e il Fuhrer gli imporrà di mettersi alla testa della Repubblica sociale italiana che avrà in Salò, sul Lago di Garda, la sua capitale.

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27 SETTEMBRE - Mussolini dopo aver annunciato il 18 settembre da radio Monaco la costituzione del nuovo partito, rientrato in Italia riunisce per la prima volta il governo dello “Stato Repubblicano d’Italia”. Era infatti questo il nome originario del regime di Salò, cui seguirono il nome di “Stato Fascista Repubblicano”, “Stato Nazionale Repubblicano” e, dal 25 novembre 1943, “Repubblica Sociale Italiana”, adottato per sottolineare il carattere "socialisteggiante" del nuovo Stato e il suo legame con le parole d’ordine del fascismo delle origini.

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La scelta dei ministri nella RSI era stata fatta sotto la supervisione dell’ambasciatore tedesco Rahn. Pavolini e Buffarini Guidi rientrati in Italia dalla Germania alcuni giorni prima di Mussolini provvidero alla riorganizzazione del partito e alla formazione del governo. Oltre agli stessi Pavolini e Buffarini, rispettivamente segretario del partito e ministro dell’interno, gli uomini più influenti del gruppo dirigente repubblicano erano il maresciallo Rodolfo Graziani, ministro della Difesa, Fernando Mezzasoma, ministro della Cultura popolare, e Domenico Pellegrini Giampietro, ministro delle Finanze. Altri ministri furono l’ex presidente del Tribunale Speciale, Antonio Tringali Casanova (Giustizia), che morì a novembre e fu sostituito dall’avvocato Piero Pisenti; Carlo Alberto Biggini (Educazione nazionale); Silvio Gai (Economia corporativa), sostituito nel gennaio 1944 da Angelo Tarchi; Edoardo Moroni (Agricoltura); Augusto Liverani (Comunicazioni). Sottosegretario e poi ministro alla presidenza fu nominato Francesco Maria Barracu.

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Intanto il 3 settembre, l'Italia di Re Vittorio Emanuele aveva proclamato la resa incondizionata agli Alleati.
Tale atto sancì il disimpegno dell'Italia dall'alleanza con la Germania nazista di Adolf Hitler e l'inizio della campagna d'Italia e della resistenza nella guerra di liberazione italiana contro il nazifascismo.
La stipula ebbe luogo in Sicilia nella frazione siracusana di Cassibile, in contrada Santa Teresa Longarini e rimase segreta per cinque giorni, nel rispetto di una clausola del patto che prevedeva che esso entrasse in vigore dal momento del suo annuncio pubblico. Il pomeriggio dell'8 settembre 1943 alle ore 17:30 (18:30 per l'Italia), Radio Algeri trasmise il proclama in lingua inglese per bocca del generale statunitense Dwight Eisenhower.
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Alle 19:42 italiane il proclama Badoglio dell'8 settembre 1943 giunse dal primo ministro Badoglio trasmesso anch'esso dai microfoni dell'EIAR.
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la guerra non fini', purtroppo, anzi, forse continuo' piu' tragica di prima. La popolazione, che si era illusa che la guerra fosse finalmente finita, prese atto che così non era. Il conflitto si trascinò ancora per più di un anno, fino alla primavera del 1945. Con l'aggravante di trasformarsi in una sorta di guerra civile.
All’annuncio seguì la precipitosa fuga notturna da Roma di re, governo e comando supremo. L’unica direttiva alle forze armate furono le oscure parole lette da Badoglio alla radio, con l’unica preoccupazione di non cadere in mani tedesche. Soltanto alle 0:50, in seguito a valanghe di richieste di istruzioni, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Roatta fa trasmettere il fonogramma “Ad atti di forza reagire con atti di forza”.
Scatta su tutto il territorio italiano, in Francia, in Croazia, in Grecia e Jugoslavia il piano tedesco per il disarmo delle truppe italiane. Si tratta di 1.090.000 uomini dislocati in Italia e di 900.000 dislocati nei Paesi occupati. Un esercito numericamente notevole ma male equipaggiato e con armamento inadeguato alle esigenze del momento.
All'inizio a nessuno fu chiaro che cosa si dovesse fare: non sparare più agli americani? Iniziare a colpire i tedeschi? Il proclama era (volutamente) poco esplicito. I primi a pagarne le spese furono i soldati. Ordinando alle forze armate italiane di reagire solo se attaccate, il proclama sottintendeva la speranza - dimostratasi illusoria - che gli americani ci avrebbero tolto le castagne dal fuoco guidando loro un attacco contro i tedeschi al posto nostro nei punti nevralgici del Paese. Ma questo non avvenne.

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Nasce il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN): gli antifascisti cercano di coprire il vuoto di potere. Iniziano ad organizzarsi le prime formazioni partigiane che daranno vita a forme di Resistenza armata e civile per i restanti venti mesi di guerra.


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Nel nord Italia a Salò si forma la Repubblica Sociale Italiana fortemente voluta dai nazisti di Hitler per meglio poter operare sul territorio italiano.
Lo stato d’animo era profondamente diverso rispetto a quanto avvenne il 25 luglio alla caduta del fascismo. Allora si riteneva che si sarebbe usciti presto dalla guerra voluta da Mussolini, invece la politica badogliana aveva frustrato duramente la gioia popolare con l’eccidio delle “Reggiane”, continuando la guerra e aprendo le porte ai tedeschi. Ora la gioia della notizia dell’armistizio si intrecciava con la domanda di come l’avrebbero presa i tedeschi, quale sarebbe stata la loro reazione e in quale situazione concreta si sarebbero trovate le migliaia di uomini alle armi lontane lontani da casa, sparsi per l’Italia e all’estero.

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Nel 1944, dopo anni di sanguinose avanzate e ritirate, la II° Guerra Mondiale aveva investito in pieno l’Italia, tagliandola in due tronconi. A sud, infatti, l’esercito regio si era schierato a fianco delle forze anglo-americane, mentre da Roma in su, l’esercito tedesco opponeva una tenace resistenza alla lenta avanzata avversaria. Nell’ottobre del 1943 nasceva tra Salò e Gargnano la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.), ultimo tentativo di Benito Mussolini e Adolf Hitler di riorganizzare l’Italia fascista. La scelta della sponda occidentale del lago di Garda come sede del nuovo governo non era casuale.

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view post Posted on 21/7/2020, 10:59
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Comincia il periodo durissimo della guerra civile, durante la quale si verificarono combattimenti tra reparti militari della Repubblica Sociale Italiana (RSI), collaborazionisti con le truppe occupanti della Germania nazista, e i partigiani italiani (inquadrati militarmente nel Corpo Volontari della Libertà e in maggioranza politicamente organizzati nel Comitato di Liberazione Nazionale), sostenuti materialmente dagli Alleati, nell'ambito della guerra di liberazione italiana e della campagna d'Italia.
Oltre ai combattimenti diretti tra i reparti armati delle due parti, si registrarono anche rappresaglie sulla popolazione civile e repressioni da parte delle autorità della RSI, contrasti interni al movimento partigiano[5], mentre rari furono gli scontri armati tra le truppe fasciste e quelle fedeli al governo monarchico, il cosiddetto "Regno del Sud".

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Il conflitto civile combattuto tra fascisti e partigiani raramente coinvolse in scontri diretti le forze armate di RSI e Regno del Sud. I due Stati italiani in linea di massima evitarono perfino di schierare i propri reparti al fronte davanti a reparti dell'altro. In alcuni casi tuttavia soldati italiani si trovarono dinnanzi altri italiani: il Gruppo Battaglioni Forlì della RSI inquadrato nella 278ª Divisione tedesca ebbe di fronte i marò del Gruppo di Combattimento ''Folgore'' del Regio Esercito, coi quali vi furono anche scontri con morti e feriti[60], e quello del Gruppo di Combattimento Cremona, il cui I Battaglione si scontrò con i resti del Battaglione Barbarigo della Decima MAS in ritirata, a Santa Maria in Punta nel Polesine.
Al sud si sviluppò anche un movimento di resistenza fascista agli angloamericani, che tuttavia non ebbe né l'estensione né il supporto popolare di quello antifascista al nord.

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view post Posted on 22/7/2020, 08:22
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Mentre gli alleati avanzavano verso Roma, nella citta' eterna il 23 marzo 1944 vi fu il famoso attentato di Via Rasella contro un reparto delle forze d'occupazione tedesche, l'11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment "Bozen", appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d'ordine) e composto da reclute altoatesine che causò la morte di trentatré soldati tedeschi .

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seguì la rappresaglia tedesca consumata con l'eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui furono uccisi 335 prigionieri completamente estranei all'azione gappista, tra cui dieci civili rastrellati nelle vicinanze di via Rasella immediatamente dopo i fatti.

Intanto due giorni dopo la conquista di Cassino e dell'Abbazia, nel settore meridionale del fronte, il II Corpo americano attaccava la linea «Hitler» presso Formia e in direzione di Fondi. Altrettanto facevano algerini e marocchini sui monti Aurunci, mentre nel settore settentrionale il Corpo britannico e quello polacco combattevano aspramente a Pontecorvo e Piedimonte.
Cinque giorni dopo anche la linea «Hitler» era infranta e le Armate alleate potevano avviarsi verso Roma: l'VIII per la via Casilina e la V per la via Appia. Una Divisione americana si dirigeva lungo la costa verso la testa di ponte di Anzio, dove il VI Corpo angloamericano forte come un'Armata, il 23 maggio aveva iniziato l'offensiva.
Clark disponeva di una formidabile piattaforma per il lancio finale su Roma. È alla capitale ch'egli continuava a guardare, più che alla manovra di aggiramento chiesta da Alexander. Voleva arrivarci prima degli inglesi perché la nuova vittoria su Hitler portasse il suo nome. Per i tedeschi fu un colpo di fortuna. Essi non speravano che gli Alleati, per un motivo di prestigio personale, rinunciassero a cogliere, con un colossale accerchiamento, i frutti della vittoria. Scampati alla trappola di Valmontone, i tedeschi abbandonavano Roma con ogni mezzo, mantenendo sgombre le strade su cui si ritiravano le Divisioni di Cassino. Avevano perso molti uomini, ma avevano salvato l'esercito.
Proprio l'ultimo giorno vollero lasciare un altro ricordo di sangue. Alle porte della città, in frazione La Storta sulla via Cassia, per alleggerire un automezzo, assassinarono 14 prigionieri politici fra cui il vecchio sindacalista Bruno Buozzi. Poi risalirono sui camion e ripresero più in fretta la ritirata verso nord.
Il 4 giugno gli americani arrivarono a Roma.

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view post Posted on 22/7/2020, 12:19
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Seguo con molto interesse questo thread, ma....

se i kattivi sono cattivi, perchè i buoni sono altrettanto cattivi se non di più?

Mi piacerebbe sapere da quale quotidiano è tratto l'articolo di via Rasella firmato 'Stefani' ed anche che fine ha fatto questo Stefani dopo l'arrivo degli alleati a Roma.
 
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se i kattivi sono cattivi, perchè i buoni sono altrettanto cattivi se non di più?

Vedi, caro amico Arecata, la tua è una domanda che mi sono fatto migliaia di volte anche io ed ancora oggi non so darmi una risposta,
al di la delle varie interpretazioni politico filosofiche che molti hanno dato al conflitto.
Una cosa è certa, caro Nicola, tutti gli italiani, siano essi dalla parte del Re o della RSI, combattevano contro delle potenze straniere e resistevano all’invasione e l’occupazione straniera dell’italia, gli italiani che si trovavano “dall’altra parte”, “dalla parte sbagliata” erano semplicemente delle vittime, innocenti, delle politiche di occupazione straniera.

Edited by Pulcinella291 - 24/7/2020, 09:39
 
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Mentre Kesselring completava con successo il graduale ripiegamento delle sue truppe dietro la Linea Gotica che da settimane era in fase di approntamento e rafforzamento, Alexander e il generale Harding pianificarono la nuova offensiva; dopo aver rinunciato a un attacco diretto al centro del fronte attraverso gli Appennini, l'alto comando del 15º Gruppo d'armate decise, su proposta del generale Leese, di trasferire nuovamente l'8ª Armata britannica nel settore adriatico per sferrare l'attacco principale in direzione di Rimini.
Ma le armate tedesche continuarono a combattere tenacemente sulle ultime posizioni della Linea Gotica (linee Adelheid e Brunhild); negli ultimi giorni di settembre l'offensiva britannica sul versante adriatico, rallentata dalle piogge, si esaurì dopo i cruenti combattimenti di Savignano e Santarcangelo di fronte al fiume Rubicone e Kesselring poté trasferire parte dei suoi migliori reparti sul fronte appenninico, dove gli statunitensi erano fortemente appoggiati dai reparti partigiani della brigata "Bianconcini".
Nel settore dell'8ª Armata, guidata dal generale McCreery dopo il trasferimento in Francia di Leese, fu combattuta la logorante "battaglia dei fiumi": le truppe canadesi e polacche avanzarono lentamente e riuscirono a liberare Forlì, Faenza e Ravenna che venne raggiunta il 4 dicembre ma le armate tedesche, ora comandate da von Vietinghoff dopo il ferimento in un incidente stradale di Kesselring, ripiegarono con ordine e riuscirono a fermarle, grazie anche al terreno inondato dalle forti piogge. Nel settore appenninico la 5ª Armata, passata al comando del generale Truscott, non riuscì ad avanzare ostacolata soprattutto dal clima invernale. Entro il 15 dicembre gli Alleati arrestarono tutte le operazioni in attesa della ripresa bellica primaverile.

Nonostante la breve ripresa invernale e le riuscite operazioni di rastrellamento condotte dai reparti militari nazifascisti contro le effimere Repubbliche partigiane, la situazione dell'occupante tedesco in Italia e del governo collaborazionista di Mussolini appariva all'inizio della primavera 1945 ormai compromessa, in relazione all'andamento generale della guerra e all'incolmabile inferiorità numerica e materiale delle forze ancora disponibili. Le truppe della Wehrmacht in Italia dal 10 marzo 1945 erano comandate dal generale Heinrich von Vietinghoff dopo che Kesselring, rientrato in servizio a gennaio 1945 in seguito all'incidente stradale, era stato trasferito d'urgenza su ordine di Hitler sul fronte occidentale. Il Gruppo d'armate C disponeva ancora di venti divisioni schierate sulla Linea Gotica, mentre le quattro divisioni della Repubblica Sociale al comando nominale del maresciallo Rodolfo Graziani erano considerate non affidabili e quindi relegate a compiti di seconda linea in Liguria. I tedeschi avevano gravi carenze di materiali ed equipaggiamenti e una limitata mobilità, ma avevano cercato di rafforzare le loro posizioni; von Vietinghoff aveva apprestato una serie di posizioni di ripiegamento in direzione delle Alpi per condurre una ritirata manovrata, ma Hitler era contrario a cedere terreno e prescrisse in modo assoluto di mantenere le posizioni e difendere la Pianura Padana.
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view post Posted on 25/7/2020, 15:51
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Pulcinella291 Forum

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Le divisioni britanniche e americane superarono il Po il 24 aprile. E appresero lungo la strada per Milano che la città era già stata liberata. E i primi carri armati alleati arrivarono in Duomo solo il 29 aprile.
La svolta nell’offensiva avvenne il 20; il 21 fu conquistata Bologna e a mezzanotte del 24 l’88a divisione di fanteria americana passò per prima il Po. Il Generale Truscott ordinò l’avanzata della 5a Armata verso Verona, conquistata il 26 aprile, per separare la 10a e la 14a Armata tedesca, bloccare le vie di ritirata verso il Brennero e rompere la linea dell’Adige. Più a Occidente la 1a Divisione Corazzata americana, gli «Old Ironsides», doveva bloccare le linee di ritirata verso l’Austria e la Svizzera tra i laghi di Garda e di Como.
Il 27 la Divisione incontrò partigiani provenienti da Milano, apprendendo che la città era stata liberata dalle forze della Resistenza. La mattina di domenica 29, gli americani occuparono la periferia e i primi carri armati arrivarono fino al Duomo; la sera il Col. americano Charles Poletti, governatore militare alleato in Lombardia, fu ricevuto in prefettura dai membri del Clnai e del Cvl. Il pomeriggio del 30 entrò in città il Tenente Generale Willis D. Crittenberger, comandante del IV Corpo d’Armata americano, con il Combat Command “B”. Già dal 27 era comunque a Milano il Capitano Emil Quincy Daddario dell’Office of Strategic Services (antesignano della CIA). Il giorno precedente aveva arrestato a Cernobbio il Maresciallo Rodolfo Graziani e i Generali Bonomi e Sorrentino; li trasferì a Milano, prima all’Hotel Regina, poi al Grand Hotel et de Milan e infine al carcere di S. Vittore, da dove infine li condusse verso Bergamo.

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Dopo il fallimento della mediazione nell'arcivescovado di Milano, nella serata del 25 aprile 1945, mentre i capi della resistenza danno l'ordine dell'insurrezione generale, Mussolini lasciò Milano e partì in direzione di Como. Sui motivi della fuga sono state fatte mille congetture: dall'ipotesi di passare la frontiera e rifugiarsi in Svizzera a quella di volare in Spagna, fino al progetto del «ridotto» della Valtellina per tentare di combattere fino alla fine.
Mussolini e i suoi gerarchi (con le famiglie, circa 100 persone) partono da Menaggio (Como), aggregati ad una colonna tedesca di militari in ritirata verso Merano e la Germania. La colonna, lunga circa un chilometro, alle 07:15, appena fuori dall’abitato di Musso, poco più a nord, viene fermata ad un posto di blocco delle Brigate Garibaldi: si tratta di pochi uomini della 52ª Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, comandata da Pier Luigi Bellini delle Stelle, “Pedro”, commissario politico Michele Moretti “Pietro Gatti”, vice commissario politico Urbano Lazzaro “Bill” e capo di stato maggiore Luigi Canali “Capitano Neri”.
Dopo una breve sparatoria, iniziano le trattative, che si protrarranno fino al primo pomeriggio. I tedeschi, in numero e armamento assai maggiore dei partigiani, non si rendono conto di avere innanzi a loro un blocco con un numero assai esiguo di uomini, che potrebbero facilmente sopraffare. Trattano, ed alla fine ottengono il permesso di poter proseguire la ritirata, a condizione che venga effettuata un’ispezione, al posto di blocco partigiano successivo (cioè a Dongo), e siano consegnati tutti gli italiani presenti nel convoglio.
Nel pomeriggio del 27 aprile, durante l'ispezione della colonna tedesca in piazza a Dongo, Mussolini venne riconosciuto dai partigiano su uno dei camion; fu disarmato del mitra e di una pistola, arrestato e preso in consegna dal vicecommissario di brigata Urbano Lazzaro «Bill». Anche tutti gli altri componenti italiani al seguito vennero arrestati.
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Il 28 aprile 1945 fu ucciso Benito Mussolini: a ucciderlo fu probabilmente il partigiano Walter Audisio che, dopo aver fucilato Mussolini e la sua amante Claretta Petacci il 28 aprile 1945, ne trasportò a Milano i corpi, insieme a quelli di altri fascisti e repubblichini .

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La Repubblica Italiana nacque il 2 giugno 1946, in seguito ai risultati del referendum istituzionale indetto quel giorno per determinare la forma di stato dopo la fine della seconda guerra mondiale. I risultati furono proclamati dalla Corte di Cassazione il 10 giugno successivo: la repubblica ottenne il 54% dei consensi e i ricorsi concernenti presunti brogli circa la legalità dello svolgimento della consultazione furono respinti il giorno 18 giugno.

La notte fra il 12 ed 13 giugno 1946, nel corso della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente Alcide De Gasperi, preso atto del risultato referendario, assunse le funzioni di Capo provvisorio del nuovo Stato repubblicano. Messo di fronte al fatto compiuto, l'ex re Umberto II, rimasto in carica soltanto un mese e per questo soprannominato il "re di maggio", lasciò polemicamente e volontariamente il paese il 13 giugno 1946.

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1945 : un quotidiano costava 5 lire......tranne "Corriere alleato" che costava UNA lira, c'era la "fame" ma la lira aveva ancora valore e potere. Poi vennero le A.M. lire.....
 
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