Le stronzate di Pulcinella

O PPANE NAPULITANO,.... Che cosa esprime

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view post Posted on 14/5/2021, 23:59
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1.Premessa: ‘nu muzzeco ‘e storia.
Il pane è un alimento antichissimo che ha bisogno di tre cose: l'acqua; il cereale principe, cioè il frumento; il fuoco, possibilmente quello di un forno a legna. Sembra che la commistione tra il cibo e la sua cottura sia nata 29.000 anni fa, con l'homo Sapiens, che interrava in una fossa i resti di animali morti e le erbe li copriva con le frasche che quando bruciavano (in modo naturale) diventavano un appetibile cibo; più tardi riuscì poi a lavorare i vegetali e a trasformarli e ad appiccare il fuoco. In questo modo acquisì non solo maggiori possibilità di sfamarsi, ma anche la capacità di dominare la natura e attribuì ai cicli stagionali gli eventi religiosi; a quel punto diventò agricoltore e creò il pane che con il fuoco -e forse più del fuoco- fu la prima magia dell’uomo; col tempo, poi, agli ingredienti-base aggiunse il lievito e il sale.
2. ‘O ppane nuosto: ‘o cafone
In Campania il pane più tipico e antico è quello “cafone”, che ha origini greche poi perfezionato con l'introduzione del forno romano: una cupola in mattoni di cotto, con un interno ad arco circondato da una intercapedine vuota che lo isolava dal punto di vista termico. Nell’antica Pompei sono stati ritrovati ben 34 forni e che sfornavano pani di varia qualità di frumenti, che arrivavano a Puteoli con le navi frumentarie.
Dal punto di vista etimologico, il lemma pane riconduce alla radice sanscrita "pa", nutrire, mentre il temine cafone ha un’origine molto controversa. Mi limito a riferire le cinque ipotesi più accreditate: la prima sostiene che il termine si riferisca al fatto che gli stranieri che venivano a Napoli, dal 1600 in poi, tenessero legata con uno spago (fune) la scarsella contenente le monete per i loro acquisti (evidentemente gli 'scippatori' erano già attivi 4 secoli fa); la seconda versione, molto fantasiosa, narra che, sempre a quei tempi, gli stranieri che volevano visitare il centro di Napoli e magari acquistare merce dagli artigiani che operavano nei vicoli, per non smarrirsi, camminavano al seguito di un capofila napoletano, legandosi a lui come in una cordata di scalatori in montagna: analogamente la terza sostiene che, nei paesi dell’entroterra montuoso campano, i più robusti abitanti del luogo, muniti di robuste funi, scendevano incontro ai visitatori per aiutarli nella salita (le tre versioni giocano sul gioco di parola “con la fune” e quindi cu ‘a fune, cafune). Una quarta ipotesi collega la parola cafone al greco: σκαπηευσ skaphèus, e σκαπανευσ, skapaneus= contadino, zappatore; la quinta, infine, si rifà a Cafo, antico romano citato da Cicerone nelle Filippiche, che donò al suo amico Cesare una grossa estensione di terreno nel territorio di Capua…
Ma ritorniamo al pane nostro: i tipi di pane cafone più diffusi sono quello dei Camaldoli e dei Paesi vesuviani (Pane di San Sebastiano), tipi di pane casereccio tradizionalmente preparati con il lievito madre, di farina ed acqua e sale (Talvolts arricchito con un agente attivatore quale miele o un pezzetto di mela, o il mosto procurato subito dopo la vendemia). Il lievito madre viene preparato per un periodo molto lungo (fino ad un anno): quando si prepara il pane un pezzetto dell’impasto viene conservato crudo e il giorno dopo aggiunto all’impasto del nuovo pane;in questo modo si rigenera ogni volta che si panifica. Il pane a lievitazione naturale, ha una mollica soffice, con una bella alveolatura ed una crosticina spessa e croccante.
Al pane sono legati tanti termini napoletani: pane ianco, pane niro, pane ’e ggrano, pane cafone, ppane tuosto, ‘a panella (tonda e morbida), 'o palatone (pane di forma allungata come la grossa pala che si usa per introdurlo nel forno, preparato in due giorni con lievito madre), 'o ppane ammazzaruto (etimologicamente dal greco mazerós, μαζεροσ, non lievitato, cioè quasi azzimo); e ammazzaruto, riferito a persona, indica un tipo pesante, poco incline a divertire e divertirsi. Il pane, inoltre, può essere frisco o sereticcio (dal latino serus, vecchio, non fresco); ‘e grano, fatto con farina integrale, completa di crusca; sciore, fiore di farina, cioè farina setacciata.
Dal pane derivano molte espressioni partenopee tipiche, diventate ormai veri e propri modi avverbiali:
* A chi me da ‘o ppane, je ‘o chammo pate (il pane è come un genitore che ti dà vita);
* A speranza è 'o ppane d' 'e puvarielle (i poveri sopravvivono solo se hanno pane);
* Azzuppà ‘o ppane (non “fare la scarpetta”, ma sfruttare un’occasione, calcare la mano);
*È meglio pane e cepolla ‘a casa toja ca galline e fasano ‘ncasa d’autre (meglio un pranzo semplice a casa propria, che galline e fagiani, ma sottomessi a casa d’altri)
*Mazza e panelle fanno i figli belli; panelle senza mazza fanno i figli pazze (per educare ci vogliono le buone e le cattive maniere);
* Stammo a ppane ’e grano: siamo in ritardo, ancora all’inizio dell’opera
*Settepanelle: misero servitore che si accontentava solo di una panella al giorno, sette alla settimana;
*Sfrattapanella: vale a dire sfruttatore;
*‘O Pataterno dà ‘o ppane a chi nun tène ‘e diente (per compiere alcune azioni occorrono risorse e capacità che spesso hanno solo alcuni soggetti);
* Pane 'e nu juorno, vino 'e n'anno e guagliona 'e quinnece anne (per vivere bene, pane freschissimo, vino vecchio di almeno un anno e la compagna giovanissima).
Infine non possiamo non ricordare “ ‘O ppa’”, un mendicante di etnia sconosciuta, simile ad un elfo, che per oltre 40 anni si è aggirato per le vie centrali di Napoli (soprattutto Toledo, Quartieri Spagnoli, Piazza Trieste e Trento), chiedendo l’elemosina pronunciando a cantilena “ ’O ppà, ‘o ppa”.



Fonte R.Bracale
 
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view post Posted on 15/5/2021, 08:28
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Un post davvero bello da leggere e d altra parte riportare le ricerche del Bracale inducono il lettore ad avvicinarsi a quello che è l' insegnamento della lingua napoletana, merito della sua preparazione e della dettagliata spiegazione dell' etimologia della parola in napoletano ...
 
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