| Sciacca:la tremenda storia di amanti assassini
Il 17 ottobre 2009, sul fondo di un fossato nelle campagne di Sciacca, ad Agrigento, viene ritrovato il corpo senza vita di Michele Cangialosi, scomparso sei mesi prima, lasciando la moglie e due figli piccoli. Il terreno dove viene ritrovato è di proprietà della famiglia Piazza, il cui figlio aveva intrecciato mesi prima una fatale relazione con la moglie di Cangialosi, Celeste Saieva, 22 anni. Entrambi verranno arrestati per omicidio insieme ad altri due complici, uno dei quali minorenne. Verranno condannati entrambi a 30 anni. Tutto era iniziato con l’amore tra Michele e quella che sarebbe poi diventata sua moglie, Celeste. Lei aveva 14 anni quando era scappata di casa per andare a stare da lui. A sedici era incinta del loro primo figlio, a 18 sposata, a 22, madre di due bambini di 3 e 7 anni. Lui faceva il manovale, era un gran lavoratore, ma il demone del gioco gli portava via denaro e serenità. E così si sfogava su Celeste a suon di botte, logorando sempre giorno dopo giorno il suo attaccamento. Per i primi tempi del loro matrimonio lei aveva taciuto le violenze, non voleva rovinare alla famiglia l’immagine del marito. Poi, di fronte all'andazzo ciclico degli episodi, aveva cominciato a parlarne e, in alcune occasioni, a sporgere denuncia. Era un matrimonio disturbato e sempre più il loro, ma nessuno dei due sembrava avere intenzione di troncarlo. In un modo esasperato e malato, moglie e marito erano dipendenti. Poi era successo qualcosa che aveva deciso per tutti: l'incontro con Nicola Piazza, 21 anni, di mestiere autista per i pazienti in emodialisi. I due cominciano a frequentarsi . Poi dal 21 aprile 2009, di Michele Cangialosi non si hanno piu' notizie:scomparso nel nulla. Spaventati, i suoi genitori sporsero denuncia di scomparsa ai carabinieri di Sciacca. Celeste, invece, sembrava tranquilla, diceva a tutti che il marito aveva preso un borsone con un paio di cambi, qualche centinaio di euro e se ne era andato di casa, forse con un’amante. Andò in caserma a presentare la propria denuncia solo 17 giorni dopo la scomparsa. Intanto sembrava rinata. Con Nicola viveva apertamente la sua relazione e si faceva addirittura vedere in giro con lui e i bambini. La vera rivelazione del caso arrivò al brigadiere Miccichè da due informatori, secondo i quali tale Paolo Naro, un amico del Piazza, avrebbe strangolato nel suo letto la povera vittima. Allora si aprì ufficialmente l’indagine per omicidio a carico di Celeste Saieva, Nicola Piazza, Paolo Naro e un quarto complice, Giuseppe Bono, minorenne. Sarà proprio quest’ultimo a crollare confessando di aver partecipato all’omicidio di Michele, il cui corpo verrà tirato su mesi dopo dal terreno di proprietà dei Piazza. L'autopsia accerterà che era stato strangolato con un filo di ferro e sepolto vivo. Celeste Saieva, invece, negherà con decisione di aver partecipato al delitto o anche solo di averlo pianificato, anche se proprio le testimonianze confermeranno che ad aprire la porta agli assassini per far aggredire suo marito nel letto nuziale, d'accordo con loro, era stata proprio Celeste. Durante un duro confronto con il padre, nel corso di un colloquio in carcere, crollerà: “Papà, so solo che uscendo di qui nessuno mi maltratterà”. Naro, Saieva e Piazza incasseranno una condanna a 30 anni di carcere per omicidio volontario premeditato. Giuseppe Bono, unico minorenne, verrà condannato a 9 anni e 4 mesi Fonte fan page
1997 Torino: funzionario di banca ucciso da moglie ed amante
Pensava di aver inscenato un delitto perfetto, quello del marito. Da far attribuire, magari, a quella fantomatica "banda degli albanesi" che svaligia le ville della collina di Torino. Ma ai carabinieri e al pm Gabriella Viglione sono bastati pochi giorni per scoprire che non erano stati i ladri a massacrare con quattro coltellate davanti alla sua villa di Gassino il bancario Sergio Cafasso, 44 anni, funzionario del San Paolo: un uomo pacifico e irreprensibile, dedito alla moglie e alla figlia di cinque anni. A progettare la sua uccisione ed a commissionarla ad un ragazzo di 25 anni, Enrico Cubello, che era il suo amante da sei mesi, e a Massimo Di Vico, un amico di quest' ultimo, è stata proprio lei: Luisella Pullara, 33 anni, la donna che Cafasso aveva sposato nel '93. Sono crollati dopo neanche una settimana. Perché quel delitto apparentemente perfetto faceva acqua da tutte le parti. E hanno confessato così: "Volevamo solo dargli una lezione perché la smettesse di picchiare Luisella. Non volevamo ucciderlo". Una linea di difesa, quella del "marito violento", che gli investigatori ritengono poco plausibile. Ha confessato Luisella, che per cinque giorni aveva recitato la parte della vedova distrutta, svenendo al funerale del marito. Ma prima hanno ammesso gli altri due finiti in carcere per omicidio volontario premeditato: l' amante Enrico Cubello, detto "Erik", torinese, che ha materialmente sferrato le quattro coltellate, e il suo amico Massimo Di Vico, di 23, residente a Maddaloni (Caserta) e fu proprio quest'ultimo il primo a confessare il delitto. "Volevamo solo fargli paura. Quello la picchiava, anche se sembrava un bravo maritino. Sono stati Luisella ed Erik ad avere l' idea. La sera prima sono andati a scassinare la porta della villa a fianco per far credere ai ladri. E' stata lei che ci ha dato i guanti di gomma per non lasciare le impronte e due delle sue calze nere per mascherarci. Erik mi aveva detto che, se l' avessi aiutato, mi avrebbe pagato l' assicurazione dell' auto. Ma io l' ho fatto solo per amicizia". Anche Erik, poi, confessa. Solo Luisella resisterà fino alle sette del mattino di ieri con "un lungo monologo teatrale", come dicono gli investigatori. Cubello racconta, senza tuttavia precisare bene come siano riusciti a far uscire la vittima dal cancello. "Non volevo uccidere, mi sono portato il coltello a serramanico solo per precauzione. Appena ce lo siamo visti di fronte lo abbiamo aggredito. Massimo lo teneva fermo, ma quello si è messo a tirare calci. E allora ho perso la testa e l' ho colpito con la lama. Ma non credevo di averlo ucciso. E' stata Luisella, il giorno dopo, a dirmi per telefono che era morto". L' autopsia, però, ha accertato che le uniche lesioni sul corpo di Sergio Cafasso sono quelle quattro coltellate: una alla schiena, mortale; le altre all' addome e al torace.
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