Le stronzate di Pulcinella

Storie italiane di amanti assassini

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view post Posted on 14/2/2022, 17:51
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Giornali e Tv raccontano in continuazione storie di persone incapaci di gestire le proprie emozioni. Di uomini, più spesso, ma anche di donne «in balia di insane passioni», di sentimenti intensi e violenti che turbano il loro equilibrio psichico, le capacità di discernimento e di controllo fino a trasformarli addirittura in omicidi .
Da oggi cominceremo a raccontare storie italiane di amanti che hanno caratterizzato la cronaca nera degli ultimi anni.

Inscenarono un incidente per uccidere il marito della donna, che li aveva scoperti

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Bari anno 2000.
Quello che poteva sembrare un incidente stradale in realtà era un omicidio intenzionale.
Protagonisti: Emanuele Conticchio, 50 anni, precedenti penali che fu accusato d'aver condotto l'auto-pirata che il 13 gennaio 2000 travolse Carlo Maggi, 44 anni, carrozziere, marito di Raffaella Curci, 39 anni, casalinga, madre di due figli. L'uomo morirà dopo una terribile agonia il 24 gennaio.
I medici non riuscirono a salvarlo per le gravissime ferite riportate. L'incidente avvenne in via Emanuele Mola, nel rione Madonnella di Bari, proprio nei pressi del comando della compagnia Bari-centro dei carabinieri. E sono stati subito i carabinieri a insospettirsi per quell'investimento un po' anomalo.

Maggi fu trascinato per una trentina di metri. Nonostante le gravissime ferite riportate e lo stato d'agonia nel quale si trovava, l'uomo sul lettino d'ospedale riuscì a mormorare qualche parola agli investigatori: "Era un'Alfa 33..." si limitò a dire. Furono subito avviate le indagini coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica, Elisabetta Pugliese. Gli investigatori scoprirono subito che Emanuele Conticchio aveva proprio un'Alfa 33, della quale corrispondevano anche i primi numeri della targa alla descrizione fornita dall'uomo morente in ospedale.
Tuttavia l'auto dell'uomo non presentava alcun segno di ammaccatura nè sulla parte anteriore, nè su quella posteriore. Anzi, l'auto sembrava quasi nuova. Un particolare che ha insospettito ancora di più i carabinieri, visto che lo stato di un'auto così lucente, nonostante si trattasse di una vecchia vettura, poteva trovare una giustificazione solo in alcune riparazioni fatte in una carrozzeria specializzata. Forse per eliminare qualche ammaccatura sospetta?
Scattarono cosi' gli appostamenti. I carabinieri si sono finti avventori di un albergo nel quale Conticchio e la moglie dell'uomo morto s'incontravano di frequente. Poi li hanno seguiti. E hanno scoperto che i due erano legati da una storia sentimentale da circa 6 anni. Il marito di lei iniziava a sospettare qualcosa: strane telefonate a casa, strane assenze della moglie. Forse Carlo Maggi era sul punto di scoprire con certezza che i due erano amanti. E così sarebbe stato architettato il piano d'ammazzarlo, ma facendolo in modo tale che sembrasse un normale incidente stradale, visto che il carrozziere era una persona tranquilla e non aveva alcun contatto con la malavita.
La certezza che il piano diabolico dei due amanti fosse stato concretamente portato a termine i carabinieri l'hanno avuta anche da alcune intercettazioni telefoniche dalle quali sarebbe emerso non solo che i due erano amanti, ma anche che volessero liberarsi del marito di lei. Tanto è bastato perchè¨ gli investigatori consegnassero un dettagliato rapporto al pm Elisabetta Pugliese che ha chiesto e ottenuto dal gip Maria Mitola l'ordinanza di custodia cautelare per Conticchio e un provvedimento di fermo per la donna.
Entrambi furono condannati.


Continua



 
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view post Posted on 15/2/2022, 09:01
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Imprenditrice fece uccidere l'amante che l'aveva lasciata



La Corte d'assise d'appello di Bari ha confermato le condanne inflitte in primo grado, con rito abbreviato, a 30 anni di reclusione per i tre presunti assassini, tra i quali l'ex amante della vittima, del 51enne Michele Amedeo, netturbino dell'Amiu, ucciso nel parcheggio dell'azienda nella zona industriale di Bari la sera del 25 aprile 2017. L'ex amante di Amedeo, l'imprenditrice di Cassano delle Murge Vincenza Mariani, sarebbe stata la mandante del delitto, ordinando la morte di Amedeo perché lui l'aveva lasciata.
Il genero della donna, Giuseppe Baccellieri, sarebbe stato l'esecutore materiale, mentre il pregiudicato Massimo Margheriti, ex dipendente del salottificio di proprietà della Mariani, sarebbe stato alla guida dell'auto con a bordo il killer. I giudici hanno confermato anche la condanna a 14 anni e 8 mesi di reclusione nei confronti del quarto co-imputato, il collaboratore di giustizia Michele Costantino, reo confesso di aver fornito ai sicari un'auto rubata e l'arma.
Gli imputati sono stati ritenuti responsabili, a vario titolo, di omicidio volontario premeditato, detenzione e porto di armi e ricettazione. Confermata la condanna al risarcimento danni nei confronti dei familiari della vittima.



Riace:Volevano farsi una vita insieme, dopo aver eliminato il terzo incomodo.
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Si era nel 2015, quando due amanti decisero di rifarsi una vita assieme, ma per questo bisognava eliminare il marito.
Ma i carabinieri della Compagnia di Roccella Ionica che assieme a quelli di Locri, fermarono Sabrina Marziano, 28 anni, ed il suo amante Agostino Micelotta (21) per l’omicidio del marito di lei Ernesto Ienco (31), accusandoli di concorso in omicidio aggravato e porto e detenzione di armi.
Secondo la tesi degli investigatori, la notte del 25 ottobre, all’una e venti circa, i due fermati, al ritorno da un matrimonio fuori paese, hanno sparato, da dentro la casa coniugale, quattro colpi di fucile caricato a pallettoni. Quindi, con un corpo contundente, avrebbero infierito sulla vittima colpendola ripetutamente alla nuca.
Ai due, i carabinieri giunsero grazie alle numerose testimonianze raccolte, e alle attività tecniche con intercettazioni, analisi di tabulati telefonici e perizie. Le indagini avrebbero messo in luce la falsità del racconto fatto dalla coppia subito dopo il delitto.
Micelotta è stato condannato dal gup di Locri con rito abbreviato, a 16 anni di carcere, mentre Sabrina Marziano dovrà espiare una pena di 23 anni.

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view post Posted on 16/2/2022, 10:04
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Amanti Killer: uccisero e bruciarono il cadavere del marito.


Il cadavere di Aldo Gualtieri venne ritrovato da un boscaiolo carbonizzato nelle colline sopra Possagno, nella provincia di Treviso, nella notte fra il 18 e il 19 aprile 2015. L’omicidio, secondo l'accusa, sarebbe avvenuto qualche giorno prima in un condominio di Romano d'Ezzelino. I Ris di Parma avevano infatti individuato all’interno dell’appartamento di Romano le tracce di sangue che erano state lavate con la candeggina. Manuel Palazzo 27 anni e Lucia Lo Gatto di 41, furono arrestati poco dopo il ritrovamento del cadavere. A mettere i militari sulle loro tracce un episodio avvenuto prima del ritrovamento del corpo dell’uomo. Una coppia a bordo di un'auto era rimasta in panne nella zona del tempio di Possagno e aveva chiesto aiuto al titolare di un'autofficina della zona per far ripartire la vettura. L'uomo aveva riferito agli investigatori che la coppia si erano mostrata molto nervosa e con molta fretta. Aveva poi detto di aver notato del fumo uscire dall'ammasso di pietre e di aver creduto si trattasse di una grigliata improvvisata.
Gli inquirenti ricostruirono il terribile omicidio:un colpo pesante avvertito in tutto il condominio, in quartiere Cristallo a Romano d’Ezzelino, le urla della vittima e il volume dello stereo alzato per coprire tutto. Pochi minuti più tardi, in quella sera del 18 aprile 2015, Aldo Gualtieri, già narcotizzato, ha finito di vivere, colpito con un martello dalla compagna Lucia Lo Gatto e dal giovane vicino di casa, Manuel Palazzo, col quale lei aveva una relazione.
Un delitto d’impeto? Di certo no, per il gup di Vicenza Roberto Venditti, che a tre mesi dalla sentenza con cui ha inflitto agli amanti killer a 30 anni di carcere a testa, ha depositato i motivi. A provare la premeditazione c’è innanzitutto il fatto che le due figlie minori della coppia (oggi seguite dai servizi sociali del Comune), sono state affidate ai vicini, con la raccomandazione di non muoversi, così come il cane. Precauzioni, queste, rivelatesi inutili, se la figlia più grande ha dichiarato di aver riconosciuto la voce del padre che chiedeva aiuto, e di averla persa un attimo dopo, coperta dalla musica. O, ancora, se il cane si è messo ad abbaiare, quasi avesse intuito cosa stava accadendo.
L’elenco delle efferatezze è completato da Lucia Lo Gatto che ha fatto passare le macchie di sangue del marito come schizzi di pomodoro che cercava di pulire. Oppure la risposta «Non so dove sia il papà» alla domanda delle figlie, preoccupate per la scomparsa inspiegabile.

Per il giudice Roberto Venditti l’uccisione di Gualtieri di 40 anni, è stata parte di un piano preciso, nel quale i due assassini ( lei di 41, lui di 27 anni), hanno anche ideato «le modalità di neutralizzazione della vittima e gli strumenti necessari per la sua uccisione». L’obiettivo degli amanti-killer era uccidere Gualtieri per poi andare a convivere. Non solo, secondo quanto riferisce Franco Felis, il conoscente che ha aiutato Palazzo a caricare il cadavere in auto, il giovane aveva già fatto i bagagli per trasferirsi a casa della Lo Gatto.

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view post Posted on 17/2/2022, 09:37
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Sciacca:la tremenda storia di amanti assassini


Il 17 ottobre 2009, sul fondo di un fossato nelle campagne di Sciacca, ad Agrigento, viene ritrovato il corpo senza vita di Michele Cangialosi, scomparso sei mesi prima, lasciando la moglie e due figli piccoli. Il terreno dove viene ritrovato è di proprietà della famiglia Piazza, il cui figlio aveva intrecciato mesi prima una fatale relazione con la moglie di Cangialosi, Celeste Saieva, 22 anni. Entrambi verranno arrestati per omicidio insieme ad altri due complici, uno dei quali minorenne. Verranno condannati entrambi a 30 anni.
Tutto era iniziato con l’amore tra Michele e quella che sarebbe poi diventata sua moglie, Celeste. Lei aveva 14 anni quando era scappata di casa per andare a stare da lui. A sedici era incinta
del loro primo figlio, a 18 sposata, a 22, madre di due bambini di 3 e 7 anni.
Lui faceva il manovale, era un gran lavoratore, ma il demone del gioco gli portava via denaro e serenità. E così si sfogava su Celeste a suon di botte, logorando sempre giorno dopo giorno il suo attaccamento. Per i primi tempi del loro matrimonio lei aveva taciuto le violenze, non voleva rovinare alla famiglia l’immagine del marito. Poi, di fronte all'andazzo ciclico degli episodi, aveva cominciato a parlarne e, in alcune occasioni, a sporgere denuncia. Era un matrimonio disturbato e sempre più il loro, ma nessuno dei due sembrava avere intenzione di troncarlo. In un modo esasperato e malato, moglie e marito erano dipendenti. Poi era successo qualcosa che aveva deciso per tutti: l'incontro con Nicola Piazza, 21 anni, di mestiere autista per i pazienti in emodialisi.
I due cominciano a frequentarsi .
Poi dal 21 aprile 2009, di Michele Cangialosi non si hanno piu' notizie:scomparso nel nulla.
Spaventati, i suoi genitori sporsero denuncia di scomparsa ai carabinieri di Sciacca. Celeste, invece, sembrava tranquilla, diceva a tutti che il marito aveva preso un borsone con un paio di cambi, qualche centinaio di euro e se ne era andato di casa, forse con un’amante. Andò in caserma a presentare la propria denuncia solo 17 giorni dopo la scomparsa. Intanto sembrava rinata. Con Nicola viveva apertamente la sua relazione e si faceva addirittura vedere in giro con lui e i bambini.
La vera rivelazione del caso arrivò al brigadiere Miccichè da due informatori, secondo i quali tale Paolo Naro, un amico del Piazza, avrebbe strangolato nel suo letto la povera vittima. Allora si aprì ufficialmente l’indagine per omicidio a carico di Celeste Saieva, Nicola Piazza, Paolo Naro e un quarto complice, Giuseppe Bono, minorenne. Sarà proprio quest’ultimo a crollare confessando di aver partecipato all’omicidio di Michele, il cui corpo verrà tirato su mesi dopo dal terreno di proprietà dei Piazza. L'autopsia accerterà che era stato strangolato con un filo di ferro e sepolto vivo.
Celeste Saieva, invece, negherà con decisione di aver partecipato al delitto o anche solo di averlo pianificato, anche se proprio le testimonianze confermeranno che ad aprire la porta agli assassini per far aggredire suo marito nel letto nuziale, d'accordo con loro, era stata proprio Celeste. Durante un duro confronto con il padre, nel corso di un colloquio in carcere, crollerà: “Papà, so solo che uscendo di qui nessuno mi maltratterà”. Naro, Saieva e Piazza incasseranno una condanna a 30 anni di carcere per omicidio volontario premeditato. Giuseppe Bono, unico minorenne, verrà condannato a 9 anni e 4 mesi
Fonte fan page


1997 Torino: funzionario di banca ucciso da moglie ed amante
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Pensava di aver inscenato un delitto perfetto, quello del marito.
Da far attribuire, magari, a quella fantomatica "banda degli albanesi" che svaligia le ville della collina di Torino. Ma ai carabinieri e al pm Gabriella Viglione sono bastati pochi giorni per scoprire che non erano stati i ladri a massacrare con quattro coltellate davanti alla sua villa di Gassino il bancario Sergio Cafasso, 44 anni, funzionario del San Paolo: un uomo pacifico e irreprensibile, dedito alla moglie e alla figlia di cinque anni. A progettare la sua uccisione ed a commissionarla ad un ragazzo di 25 anni, Enrico Cubello, che era il suo amante da sei mesi, e a Massimo Di Vico, un amico di quest' ultimo, è stata proprio lei: Luisella Pullara, 33 anni, la donna che Cafasso aveva sposato nel '93.
Sono crollati dopo neanche una settimana. Perché quel delitto apparentemente perfetto faceva acqua da tutte le parti. E hanno confessato così: "Volevamo solo dargli una lezione perché la smettesse di picchiare Luisella. Non volevamo ucciderlo". Una linea di difesa, quella del "marito violento", che gli investigatori ritengono poco plausibile. Ha confessato Luisella, che per cinque giorni aveva recitato la parte della vedova distrutta, svenendo al funerale del marito. Ma prima hanno ammesso gli altri due finiti in carcere per omicidio volontario premeditato: l' amante Enrico Cubello, detto "Erik", torinese, che ha materialmente sferrato le quattro coltellate, e il suo amico Massimo Di Vico, di 23, residente a Maddaloni (Caserta) e fu proprio quest'ultimo il primo a confessare il delitto.
"Volevamo solo fargli paura. Quello la picchiava, anche se sembrava un bravo maritino. Sono stati Luisella ed Erik ad avere l' idea. La sera prima sono andati a scassinare la porta della villa a fianco per far credere ai ladri. E' stata lei che ci ha dato i guanti di gomma per non lasciare le impronte e due delle sue calze nere per mascherarci. Erik mi aveva detto che, se l' avessi aiutato, mi avrebbe pagato l' assicurazione dell' auto. Ma io l' ho fatto solo per amicizia". Anche Erik, poi, confessa. Solo Luisella resisterà fino alle sette del mattino di ieri con "un lungo monologo teatrale", come dicono gli investigatori. Cubello racconta, senza tuttavia precisare bene come siano riusciti a far uscire la vittima dal cancello. "Non volevo uccidere, mi sono portato il coltello a serramanico solo per precauzione. Appena ce lo siamo visti di fronte lo abbiamo aggredito. Massimo lo teneva fermo, ma quello si è messo a tirare calci. E allora ho perso la testa e l' ho colpito con la lama.
Ma non credevo di averlo ucciso. E' stata Luisella, il giorno dopo, a dirmi per telefono che era morto". L' autopsia, però, ha accertato che le uniche lesioni sul corpo di Sergio Cafasso sono quelle quattro coltellate: una alla schiena, mortale; le altre all' addome e al torace.
 
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view post Posted on 18/2/2022, 11:31
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Uccise moglie e figli per andare con l'amante
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Ha prima ucciso la moglie, poi è salito al piano di sopra, dove dormivano i figli e ha strappato anche le loro giovani vite. Il Tribunale di Pavia ha condannato all’ergastolo per Carlo Lissi, 34 anni, perito informatico reo confesso, che il 14 giugno 2014 ha sterminato la famiglia a Motta Visconti.
Si era nel giugno 2014 poi per crearsi un alibi andò a vedere la prima partita con gli amici. La ragione: si era infatuato (non corrisposto) di una collega.
Quella sera Lizzi non si accontentò di uccidere la moglie di cui non era più innamorato, Maria Cristina Omes, ma sgozzò anche Giulia, di 5 anni, e Gabriele, 20 mesi e perché quando, subito dopo la confessione, il pm Giovanni Benelli gli chiese se non fosse stato meglio divorziare, Lissi rispose: “Il divorzio non avrebbe risolto, perché i figli sarebbero comunque rimasti”.
Carlo Lissi è stato condannato all’ergastolo il 18 gennaio 2016. La sentenza del gup di Pavia prevedeva anche tre anni di isolamento diurno, ma poi la pena è stata ridotta perché Lissi era a giudizio con rito abbreviato. Il giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche, subordinate però alle aggravanti della premeditazione, del vincolo di sangue e della minorata difesa. Proprio quelle attenuanti, però, avrebbero potuto creargli un altro spiraglio e portarlo a una pena più lieve, ma con tre righe scritte alla Corte d’Appello il 34enne chiede che resti la pena dell’ergastolo “considerando congrua la condanna inflittami in primo grado e scusandomi per la perdita di tempo”.
Da ergastolano si è laureato in filosofia all’Università di Pavia.


Uccise la moglie dell'amante attirandola in un tranello

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Gennaio 2019 Gorlago.
Chiara Alessandri, nella foto, uccise la 42enne Stefania Crotti, mamma di tre figli, considerata sua rivale in amore, prima colpendola con un martello e poi dando fuoco al corpo, nelle campagne di Erbusco (Bs), quando la donna, invece, era ancora viva.
L'assassina attirò Stefania Crotti nel suo garage, approfittando dell'ingenuità di un amico – il primo che poi allerterà le forze dell'ordine – che addirittura accompagnò Crotti sotto casa di Alessandri. È nel garage che si sarebbe scatenata una lite furibonda al culmine della quale Alessandri avrebbe colpiro la sua “rivale” con un martello, più e più volte.
Convinta di averla uccisa, almeno così ha ribadito l'imputata, caricò il corpo sulla sua Mercedes per poi portarlo a Erbusco, in mezzo ai vigneti. È lì che infine bruciò quello che in realtà non era un cadavere: dall'autopsia, qualche giorno dopo, emergono infatti tracce di fumo nei polmoni. Il che significa che Stefania stava ancora respirando, quindi venne stata bruciata viva.
L'Alessandri venne arrestata pochi giorni dopo. Davanti agli inquirenti ha sempre negato di voler uccidere, e che sarebbe stato tutto uno sbaglio. Per l'accusa invece si sarebbe trattato di un piano premeditato, e anche per questo era stato chiesto l'ergastolo. La donna aveva avuto una breve storia con Stefano Del Bello, marito di Stefania Crotti.
L'uomo dopo qualche settimana però era tornato a casa, dalla sua famiglia. Pare che Alessandri non avesse accettato la separazione, tanto da continuare a insistere con Del Bello per provare a riprendere il rapporto. Con il passare dei giorni i suoi sforzi si erano concentrati sulla moglie di Del Bello, che lei considerava un'acerrima rivale in amore.
La Corte d'appello di Brescia ha confermato la condanna a 30 anni nei suoi confronti.

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IL DELITTO DI TERLAGO:uccisero brutalmente il marito di Lei



Quelli che vedete nelle foto sono Giuliano Cattoni e Isabella Agostini, gli amanti diabolici che nella notte del 1 e il 2 giugno del 2000 ,a Terlago in provincia di Tento, uccisero Michele Santon il marito di lei.
Michele Santoni, impiegato modello di 34 anni, fu vittima di una esecuzione feroce, organizzata anche con l' uso dei messaggi "Sms". Il suo corpo fu trovato nella notte poche ore dopo il delitto: aveva il cranio spaccato dai colpi di una spranga e il collo tagliato da parte a parte con un coltello.
Le modalità dell' omicidio avevano fatto pensare ad un regolamento di conti, ma non c' era nulla nella vita di Santoni che potesse spiegare una morte così spaventosa: non giocava, non aveva debiti, non era tipo da passioni proibite. La soluzione del giallo andava cercata nella moglie. Gli inquirenti - coordinati dal pubblico ministero Bruno Giardina - l' hanno capito grazie ad un amico della vittima: "Si erano sposati solo da pochi mesi, ma il loro matrimonio era già in crisi.
In manette finiscono subito la giovane moglie di Michele, Isabella Agostini, 25 anni, di Calavino, e un amico di lui, Giuliano Cattoni, 24 anni, operaio marmista di Cavedine. L’accusa è quella di aver agito in combutta per eliminare Michele che, dopo la nascita di una relazione tra i due, era diventato un ostacolo da abbattere. Vengono processati separatamente: lui, con rito abbreviato, lei, con rito ordinario. Sedici e 22 anni di carcere, rispettivamente, per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
Gli inquirenti riuscirono subito a spiegare l'troce delitto.
Arrivati sulla riva del lago di Terlago, Michele, ignaro, era stato tramortito alle spalle con un bastone.
Continuano a colpirlo a coltellate, poi lo sgozzano e, infine, gli tagliano la gola. Scappano, poi, a nascondere l’arma del delitto dove non sarebbe mai più stata trovata.
Ventiquattrore dopo si incolpano a vicenda davanti al giudice. "Sono stata a guardare, non ho fatto nulla" si difende Isa, ma la catena di sms che si erano scambiati per concordare il piano dimostra la sua consapevolezza di ogni fase del piano. Poco importa che sia stata lei ad agire.
Cattoni, avendo scelto il rito abbreviato,fu condannato a 16 anni.
Calcolando tutti gli sconti per la buona condotta, che sono di 45 giorni ogni sei mesi di reclusione, il piastrellista di Cavedine ha finito di scontare la pena .
Alla sua ex amante Isabella è andata peggio. Invece di andare in abbreviato decise di andare davanti alla Corte d'assise e venne condannata a 22 anni e 9 mesi in primo grado. In appello la pena venne ridotta leggermente a 22 anni. Considerando anche per lei tutti gli sconti di pena, ora anche è lei è libera.
 
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view post Posted on 20/2/2022, 12:08
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IL DUPLICE OMICIDIO DI GRADOLI: una storia drammatica



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Due donne, di 36 e 13 anni, scomparse nel nulla la sera del 30 maggio 2009. "Allontanamento volontario", si ipotizzò all'inizio.
Ma i dettagli che emersero nei giorni successivi fecero nascere sospetti sul compagno della 36enne e sulla sorella 18enne di lei, che vennero condannati rispettivamente per omicidio e favoreggiamento.
Filmini hard e migliaia di sms. Messaggi scambiati al ritmo di una media di trenta al giorno alla vigilia del duplice delitto. Più eloquenti, secondo l’accusa, della confessione che non c’è mai stata. Liberarsi di Elena e Tatiana per loro era diventata un’ossessione.
Ma vediamo i protagonisti di questa drammatica vicenda.
Tatiana Ceoban, detta Tania, una donna moldava di 36 anni e la figlia Elena di 13 anni, scomparvero nel nulla.
Tatiana, arrivata in Italia nel 1999, aveva conosciuto Paolo Esposito l'anno successivo e, qualche tempo dopo, i due erano andati a convivere. Poi anche Elena, la figlia avuta da Tatiana da una precedente relazione, aveva raggiunto la madre e il nuovo compagno e nel 2003 era nata Erika.
Dopo la improvvisa scomparsa delle due donne .
la procura di Viterbo aprì un fascicolo per sequestro di persona contro ignoti per la scomparsa di Tatiana ed Elena e notificò a Paolo un avviso di garanzia come persona informata sui fatti. L'uomo disse che la compagna aveva fissato una visita a Roma, circostanza poi smentita, e che probabilmente aveva deciso di tornare in Moldavia o portare la figlia grande dal padre: "Elena voleva conoscere il padre - dichiarò Paolo in un'intervista a 'Chi l'ha visto?' - Penso che stiano da qualche parte in Russia e stanno bene".
La versione di Paolo non convinse la madre di Tatiana, Elena (da cui la nipote prese il nome), convinta che la figlia e la nipote non si fossero allontanate volontariamente, lasciando Erika a Gradoli. Ulteriori sospetti vennero anche agli inquirenti, quando scoprirono che l'uomo aveva avuto una relazione con la sorella 18enne di Tatiana, Ala, arrivata in Italia poco dopo la nascita di Erika. La ragazza aveva vissuto nella casa di Gradoli per circa tre anni, fino al 2006.
A scoprire la relazione tra i due era stata proprio Tatiana, che aveva trovato un dvd su cui era stato registrato un rapporto sessuale tra Ala e Paolo: la conferma di un sospetto, che da tempo si era insinuato nella mente di Tatiana e che aveva portato alla rottura col compagno, nonostante vivessero ancora nella stessa casa.
Insomma tra i due cognati era nata una relazione clandestina maledetta, all’insegna di rapporti sessuali spinti e disinibiti. Lui aveva all’epoca il doppio di anni di lei, quaranta contro i venti della ragazzina moldava il cui arrivo in Italia ha stravolto la vita della sorella che , a quanto si apprese, voleva lasciare i due amanti e portarsi la piccola figlioletta.
Una dichiarazione non confermata dall'uomo.
Ma le tensioni diventarono ancora più evidenti quando si presentò il problema dell'affidamento della piccola Erika, un progetto su cui Paolo non sarebbe stato d'accordo e nel 2007 aveva chiesto l’affidamento esclusivo della piccola, iniziando una battaglia legale con la compagna.
Il 1°luglio del 2009 il compagno della donna scomparsa venne arrestato. L'uomo, che era già sospettato per sequestro di persona, venne accusato di duplice omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere. A portare gli inquirenti verso questa strada furono alcune incongruenze presenti nel racconto di Paolo, che diede spiegazioni diverse sulla scomparsa delle due donne.
Ma nel corso di una perquisizione effettuata nella villetta, gli inquirenti avevano ritrovato i documenti delle due donne, contenuti in una cartellina gialla. Inoltre non risultò essere stato comprato nessun biglietto con nomi corrispondenti alle due donne. Non solo. L'ultima cella a cui si era agganciato il cellulare di Tatiana corrispondeva a quella vicino alla casa di Gradoli. Poi il silenzio.
poi nella casa dove vivevano furono rinvenute tracce di sangue ed
i Ris confermarono che il Dna era quello di Tatiana Coeban.
Il 5 agosto del 2009 anche Ala Ceoban, sorella di Tatiana e zia di Elena, venne arrestata, per concorso negli stessi reati di cui era accusato Paolo Esposito. A convincere gli investigatori del coinvolgimento di Ala furono gli accertamenti effettuati sui dispositivi del compagno e della sorella di Tatiana. Infatti nonostante i due affermassero che la loro relazione fosse finita da tempo, alcune evidenze dimostrarono che Ala e Paolo avevano continuato a frequentarsi e che avrebbero potuto essere insieme anche il giorno della scomparsa.
Emersero anche i testi dei messaggi, in cui Tania veniva definita "la str...": "Che succeda una cosa così tocca ammazzarla, perché non ci andrà mai via dall’Italia, qui lei ha una fonte di denaro e tu pensi che lei lo abbandona".
Nel gennaio 2010 si chiusero le indagini preliminari e Paolo Esposito e Ala Ceoban vennero accusati entrambi di duplice omicidio volontario aggravato e occultamento di cadaveri. Lo stesso anno iniziò il processo di primo grado che si concluse, il 13 maggio 2011, con la condanna all’ergastolo per entrambi gli imputati.
Contro la sentenza della Corte d’Assise di Viterbo venne presentato ricorso sia da parte di Paolo che di Ala. Il 21 giugno 2012 la sentenza di secondo grado confermò l’ergastolo per Esposito, ma revocò il carcere a vita per la sorella di Tatiana. Secondo i giudici della Corte d’Appello di Roma infatti, Ala non partecipò al duplice delitto, ma si limitò a favorirne l’organizzazione e a fornire supporto nell’occultamento dei cadaveri. Per questo, la donna venne condannata a 8 anni di carcere per favoreggiamento aggravato. L’anno successivo la Cassazione confermò la sentenza dell’appello, rendendo definitive le condanne di Paolo e Ala, ritenuti colpevoli rispettivamente di duplice omicidio e di favoreggiamento.
I cadaveri delle due donne infatti non sono mai stati ritrovati.
 
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Carugo(Como)Alfio Molteni, architetto di 58 anni, fu ucciso a colpi di pistola.ecco perchè

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E' la sera 14 ottobre 2015 a Carugo, davanti alla sua abitazione, due sconosciuti si erano presentati davanti a lui, mentre stava uscendo di casa per andare a prendere il figlio maggiore, e gli avevano sparato alla gambe. Ma quel progetto di ferirlo, era andato ben oltre: uno dei proiettili gli aveva gravemente lesionato l’arteria, lasciandogli solo pochi minuti di vita.
Fu cosi' che mori' Alfio Molteni, architetto di 58 anni.
Le indagini si rivolsero su Daniela Rho, 45 anni, moglie di Molteni in via di separazione e figlia di una dinastia di industriali mobilieri, tra i pochi ad aver retto alla crisi del settore degli ultimi anni, e Alberto Brivio, 49 anni, commercialista e suo amante.
I due furono accusati di aver commissionato a un gruppo di balordi una serie di spedizioni punitive ai danni del professionista culminata con l'omicidio: l'incendio della sua Range Rover nel maggio dell'anno precedente, l'esplosione di otto colpi di pistola calibro 9 per 21 contro la sua abitazione.
Precedentemente ci fu anche una minaccia a viso aperto: due del gruppo, armati di un bastone e di una sfera metallica, avevano cercato di costringerlo a uscire dall'auto, dopo che aveva accompagnato le figlie piccole dalla madre. In un'occasione Molteni rischiò anche di ritrovarsi un pacco di droga in auto ma il tentativo non andò a buon fine.
Il movente di questo climax di odio, mentre sullo sfondo si colloca la progressiva cacciata di Molteni dall'azienda della famiglia Rho su cui il gip invita a indagare ulteriormente, sarebbe la battaglia sull'affidamento delle figlie. I carabinieri di Como e del Ros, coordinati dal pm Pasquale Addesso e dal procuratore Nicola Piacente sono rimasti sbalorditi dalla coincidenza temporale tra lo sviluppo della causa di separazione e le spedizioni punitive, in particolare dell'omicidio, e riconducono tutto «ai contrasti intercorsi tra i due sull'affidamento delle figlie che la Rho cercava di ottenere in via esclusiva». Gli spari, gli incendi e la gambizzazione finita in tragedia servivano alla donna «per dipingere Molteni come persona dalle frequentazioni equivoche e pericolose e come pretesto perché a Molteni fosse impedito, da parte del Tribunale di Como, di vedere le figlie, per preservarne la incolumità».
Le violenze si verificavano puntualmente quando nella causa la Rho si vedeva respingere le sue richieste. Il 13 ottobre dell'anno scorso il Tribunale aveva respinto l'ultima istanza per impedire che il padre vedesse le figlie. Il giorno dopo Vincenzo Scovazzo e Michele Crisopulli, due balordi con precedenti penali, su richiesta di Luigi Ruogolo, ex guardia giurata che aveva anche prestato servizio a Expo, intermediario tra il gruppo di fuoco e l'amante della donna, dietro la promessa di un compenso pari a 10.000 euro, sparavano a Molteni, uccidendolo. A carico dei due amanti le dichiarazioni di Crisopulli e di Ruogolo arrestati dopo accurate indagini , le mail della vittima in cui ricostruiva i pedinamenti e le sue paure; poi il traffico telefonico tra i protagonisti, drasticamente crollato dopo il delitto. La Rho e Brivio, per potersi parlare, andarono addirittura in Svizzera, separatamente, lei con l'auto, lui in motocicletta, dopo aver lasciato i telefoni cellulari nelle rispettive case. Erano però seguiti e filmati dai carabinieri. La Procura di Como aveva avviato una rogatoria con l'autorità svizzera.
Nel 2021 le condanne definitive.
La Prima sezione della Corte di Cassazione, ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati dagli ultimi imputati rimasti ancora a processo: l’ex moglie della vittima, Daniela Rho, 48 anni, sconterà 20 anni di reclusione, ritenuta mandante dell’omicidio assieme al suo amante, Alberto Brivio, 51 anni, condannato all’ergastolo.
La differenza di pena finale sta nella scelta e nella condotta processuale: rito abbreviato per la Rho, che aveva fatto una serie di ammissioni, dibattimento davanti alla Corte d’Assise per Brivio, che ha sempre negato ogni coinvolgimento. I ricorsi davanti alla Suprema Corte, riguardavano anche Vincenzo Scovazzo, sessantenne di Cesano Maderno, esecutore materiale dell’omicidio: anche per lui è stato confermato l’ergastolo. Era stato lui quella sera a sparare i colpi di arma da fuoco che avrebbero dovuto gambizzare l’architetto, e che lo avevano invece ucciso. Ultima di una serie di intimidazioni che avevano lo scopo di gettare discredito sulla vittima, per spingere il giudice della separazione in corso tra lui e la Rho, a non affidare le bimbe al padre. Giuseppe De Martino, 60 anni di Cesano Maderno, è andato incontro a 9 anni e 10 mesi di reclusione, riconoscendo il "reato diverso da quello voluto, per aver fatto da autista a Scovazzo fino a Carugo. Infine condanna definitiva a 5 anni di reclusione per Giovanni Terenghi, 60 anni, l’investigatore privato che aveva lavorato per Daniela Rho, accusato di concorso in alcuni episodi di stalking e di calunnia nei confronti di Molteni.


 
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omicidio di Vincenzo Cordì: stordito e dato alle fiamme nella sua auto.
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Un accendino antivento e un capello troppo lungo per appartenere alla vittima. E poi l’occhio indiscreto delle telecamere di sorveglianza da seguire passo passo come le briciole di Pollicino, e le celle telefoniche che si agganciano a telefonini da cui nessuno degli indagati si separa mai. Un’indagine che venti anni fa sarebbe stata difficile anche solo da immaginare e che invece i carabinieri di Roccella hanno risolto in meno di tre mesi, con l’arresto dei tre presunti responsabili dell’omicidio di Vincenzo Cordì, cameriere quarantunenne di Gioiosa Marina, stordito e dato alle fiamme all’interno della sua auto in una notte di novembre del 2019.
La moglie Susanna Brescia, al fine di depistare le indagini,tentò di far credere agli inquirenti che il compagno si fosse suicidato a causa del periodo di depressione che stava attraversando.
Ma gli inquirenti scoprirono che quell'omicidio cosi' tremendo era stato progettato e realizzato dalla stessa compagna e dai figli Giuseppe e Francesco Sfara, poco più che maggiorenni di lei, e dall’amante della donna.
Avevano stabilito che Cordì doveva essere ucciso lontano da casa per evitare che sulla famiglia ricadesse anche il minimo sospetto. Per questo, la donna lo ha convinto a fare una gita in montagna per raccogliere funghi, con partenza in piena notte per essere nei boschi all’alba.
Ma arrivati in cima, l’uomo è stato vittima di un vero e proprio agguato. Con l’aiuto dei figli e dell’amante, la donna lo ha tramortito. Insieme, hanno poi trascinato il corpo dell’uomo, svenuto ma ancora vivo, all’interno dell’auto, lo hanno cosparso di benzina e gli hanno dato fuoco. Rapidamente hanno tentato di cancellare ogni traccia della propria presenza sul posto e si sono allontanati, ma hanno fatto un errore. Non si sono accorti che il cellulare dell’uomo era rimasto fuori dall’abitacolo ed è lì che i carabinieri lo hanno trovato quando è stato rinvenuto il corpo.
Da qui sono partite le indagini che subito hanno battuto la pista della vita sentimentale e familiare dell’uomo. E dopo poco i sospetti si sono concentrati sulla compagna, che già nel 2016 – hanno scoperto i carabinieri – aveva tentato di avvelenare Cordì. Per oltre un anno l’hanno ascoltata, pedinata, seguita, ne hanno monitorato le conversazioni con il figlio e l’amante, fino ad avere la certezza granitica della piena complicità di tutto il suo entourage. E all’alba, per tutti, sono scattate le manette.
Il processo è in corso davanti alla Corte di Assise di Locri.
Per i quattro imputati l’accusa è di omicidio aggravato in concorso tra di loro.
 
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Avellino: uccisero il padre di lei che si opponeva al loro amore



La sera del 23 aprile del 2021, Giovanni Limata, residente a Cervinara, arriva ad Avellino, nel cuore della città irpina, in
corso Vittorio Emanuele II, armato di coltello; la sua fidanzata, Elena Gioia, gli ha lasciato la porta di casa aperta. Quando Giovanni entra, Aldo Gioia, il papà di Elena, sta dormendo sul divano: il 23enne si avventa su di lui e lo accoltella ripetutamente, 12 colpi. Le urla di dolore del 53enne allertano la moglie e l'altra figlia, che stanno dormendo al piano di sopra, salvando di fatto la loro vita.
Dalle chat che i due fidanzatini si scambiavano fino a pochi minuti prima del delitto, infatti, è emerso che il piano di Elena e Giovanni era quello di sterminare l'intera famiglia di lei. "Quando li uccidiamo?" domandava Elena a Giovanni in una delle chat in questione. "Lo faccio perché li odi" la risposta del ragazzo.
Giovanni Limata, rintracciato dagli agenti della Squadra mobile a Cervinara, dove abitano il padre e il fratello, ha confessato l'omicidio. Anche la 18enne Elena Gioia, quella sera stessa, ha confessato agli inquirenti di aver pianificato con il fidanzato la morte del padre.
La moglie del Gioia, Liana Ferrajolo, ha cosi' raccontato la storia davanti ai giudici.
" Ero in camera mia, e ho sentito le urla lancinanti di mio marito, sono accorsa in salotto e l’ho trovato seduto a terra davanti al divano in una pozza di sangue. Ho chiesto più volte continuamente a mio marito chi fosse stato ma mi rispondeva che non lo sapeva, ci diceva solo di stare attente perché l’assassino secondo lui era ancora in casa. Ma dentro non c’era nessuno, mia figlia Emilia cercava di tamponare con un asciugamano il sangue che scorreva a fiotti, Elena invece era impietrita e traumatizzata”. La Ferrajolo ha raccontato poi la corsa in ospedale, dentro l’ambulanza dove ha cercato di rimettere in sesto la mano del marito che era stata tagliata dal coltello usato da Limata, poi dopo poco Aldo morì in pronto soccorso. A quel punto la donna ha raccontato di aver ripreso per un attimo la lucidità e ha suggerito alla polizia di andare a cercare Giovanni Limata, il fidanzato della figlia, dicendosi sicura che fosse stato lui a uccidere il marito.
E in aula spiega perché, descrivendo Limata come un giovane aggressivo, che aveva anche picchiato la figlia, e che minacciò pure lei perché si era rifiutata di far passare insieme ai due giovani il capodanno. “Mi disse che mi avrebbe mandato persone più ‘incisive’ di lui per convincermi”, ha argomentato la Ferrajolo. “Io e mio marito non condividevamo quel rapporto, era diventato per noi una ossessione, si parlava quotidianamente di quello, eravamo preoccupati per nostra figlia; ma con Elena ne discutevamo con calma e lei ci dava ragione. Poi però quando si rivedeva con lui era come soggiogata”, afferma la madre, “mentre lui era ossessionato da lei e sapevo che poteva diventare pericoloso. Lo volevo denunciare per fermarlo, mio marito invece mi convinse a non farlo, per paura di una ritorsione nei miei confronti”.
Il processo a carico dei due è ancora in corso con l'assenza i Giovanni Limata che, nel corso dell'ultima settimana ha tentato di togliersi la vita in carcere. Il giovane di Cervinara ha rinunciato a comparire ma, ad ogni modo, non è in pericolo di vita. Il detenuto, avendo riportato solo delle ferite superficiali ai polsi, ha presentato una lettera letta in aula dal collegio: "Nel corso di una crisi di panico, non sentendomi aiutato, ho cominciato a procurarmi tagli e lesioni".
 
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view post Posted on 25/2/2022, 11:28
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taglio' la gola alla giovane amante



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Ospitaletto (Brescia)l 29 luglio 2018 Fabrizio Pasini, l’ex sindacalista Uil uccise, tagliandole la gola, la collega Manuela Bailo, con cui aveva intrecciato una relazione extraconiugale.
Ma la crudeltà della sua azione proseguirà anche dopo l'omicidio. Dopo aver trascinato Manuela fuori casa, ormai senza vita, la caricherà in macchina per abbandonarla in una vasca di accumulo di liquami vuota, nelle campagne cremonesi a poche decine di chilometri da casa. Poi partirà insieme alla famiglia (moglie e figli) per una vacanza in Sardegna. Pensava di averla fatta franca, ma era già pedinato dai carabinieri. Al suo ritorno, quando tutto il quadro indiziario sarà completo, Bailo sarà arrestato e dirà che l'amante era stata vittima di una caduta dalle scele.
Ora non ci sarà ricorso in Cassazione, né da parte della difesa che dall'accusa: dunque diventa definitiva la pena a 16 anni di reclusione .
La condanna a 16 anni di carcere esclude però la premeditazione (che altrimenti lo avrebbe portato a una pena di 30 anni): Pasini la uccise nella casa della madre, a Ospitaletto, in piena notte ma mentre c'erano ancora i suoi zii, nelle altre stanze.


Uccide il compagno a coltellate e lo evira
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Modena, 24 giugno 2017 Verona Popescu cinquant’anni, rumena, ex badante e con un figlio, uccide a coltellate Claudio Palladino, 63 anni, manager della ditta Manitou Italia di Castelfranco. Stavano insieme da quattordici anni, da quando l'uomo si era separato dalla moglie dalla cui relazione era nata una figlia.
Ha poi infierito sul corpo evirando i genitali che ha messo all’interno di un sacchetto di cellophane a sua volta deposto su un piattino da caffè e riposto dentro al frigo. Poi, dopo aver deposto l’arma del delitto, un coltello da cucina neanche tanto grande, ha chiamato la polizia: «Venite, ho ucciso il mio compagno a coltellate».
Verona Popescu, nell’attesa dell’ambulanza e delle forze dell’ordine, si è cambiata, si è lavata e poi ha aperto la porta al personale del 118 e agli agenti della Volante, che hanno lasciato integra la scena del crimine.
La cinquantenne Verona Popescu fu subito portata in questura e, come detto, è stata arrestata in flagranza di reato, reo-confessa: è accusata di omicidio volontario aggravato.
Verona Popescu non è processabile, perché quando uccise il suo compagno Claudio Palladino - manager 63enne della Manitou - non era in grado di intendere e di volere, ma dovrà restare internata in una struttura psichiatrica per dieci anni. È questa la sentenza del giudice emessa ieri al termine del processo con rito abbreviato per il terribile omicidio di via Mar Adriatico, avvenuto nel giugno dell'anno scorso: otto coltellate al petto dell'uomo che non era più il suo amato, ma un nemico in casa, e poi il taglio dei testicoli e la loro conservazione secondo un rituale compiuto con precisione.
Segni di un disturbo della personalità erano emersi in modo inequivocabile già al momento delle indagini condotte dalla polizia e dal pm Lucia De Santis.
 
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view post Posted on 1/3/2022, 10:30
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Uccisero il fidanzato di lei fidanzato gettandone il cadavere in un fiume
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Ravenna:è' il 12 dicembre 2001 quando Cinzia Caon, 27 anni e Giuseppe Diadema 33 anni uccisero Maurizio Cantinotti, un venditore ambulante 31enne con cui la donna conviveva. Una convivenza divenuta negli ultimi mesi piuttosto turbolenta e caratterizzata da liti sempre più frequenti e violente. Alla base il nuovo rapporto sentimentale che la giovane aveva intessuto con il suo complice anche se continuava a convivere con la vittima. Da qui l’idea di uccidere il venditore ambulante gettandone il corpo in un fiume per poi fuggire e nascondersi a Cuasso al Monte.
La loro latitanza fini' presto i due vennero arrestati a casa dei genitori della ragazza a Cuasso al Monte, in provincia di Varese.
Giuseppe Diadema condannato in abbreviato a 17 anni, mentre la ragazza subi' una condanna a 24 anni.


Lamezia: uccise il marito dell’amante
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Era il 4 luglio 2011, quando il corpo del pregiudicato Giovanni Villella, 31 anni fu trovato crivellato dai colpi di un fucile caricato a pallettoni, in una strada sterrata in località Pullo.
La polizia di Stato fermo' a Lamezia Terme due persone, Angela Giampà, 68 anni, e Massimo Rondinelli, 31, accusate di concorso nell’ omicidio .
Il 21 giugno per lo stesso omicidio il Commissariato di Lamezia Terme aveva arrestato altre tre persone, Jennifer Pina, 29 anni, moglie della vittima, Giovanni Giampà, 41, ex calciatore professionista della Vigor Lamezia e fratello di Angela, e Michele Dattilo, 66 anni. Secondo le indagini, Giovanni Giampà e Dattilo sarebbero stati gli esecutori materiali dell’omicidio. Nell’inchiesta sull’omicidio di Villella sono indagate, inoltre, altre due persone, entrambe già detenute, con l’accusa di avere nascosto le armi utilizzate per uccidere Villella. Si tratta dello stesso Michele Dattilo e di Giuseppe Falsia, 38 anni. Secondo quanto è emerso dalle indagini, Villella sarebbe stato ucciso per vendetta perché avrebbe sottoposto a violenze la moglie, Jennifer Pina, che aveva poi allacciato una relazione con Giovanni Giampà decidendo poi insieme a lui di uccidere il marito.
Nel 2015 la Corte di assise appello, dopo oltre due ore di camera di consiglio, ha confermato le due condanne di primo grado all'ergastolo ed a 18 anni di reclusione rispettivamente per Michele Dattolo e Giovanni Giampà .
Pina Jennifer scelse in seguito la strada del giudizio abbreviato, che si concluse con una condanna a 16 anni di reclusione, ridotta a 14 anni in appello il 27 novembre del 2013. I due uomini, invece, optarono per il dibattimento, che si concluse con una condanna all'ergastolo e una a diciotto anni di reclusione, pene oggi confermate anche in Appello.


 
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Uccise l'amante e insceno' il suicidio
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San Michele Extra, a Verona-4 giugno 2018, Pietro Di Salvo all'epoca 75enne,uccise l'amante Fernanda Paoletti 77 anni, conosciuta su Facebook strangolandola con una corda, quando lei aveva preteso di portare la loro relazione clandestina ad un livello superiore, e ne aveva inscenato il suicidio, ma gli investigatori della Squadra Mobile della Questura di Verona, lo scoprirono e lo arrestarono.
A scoprire il corpo di Fernanda fu il figlio: la madre non si era presentata ad un appuntamento con lui ma più di tanto non se ne era preoccupato, quando però è passato davanti casa sua mentre andava a prendere la compagna, ha notato la sua auto. A quel punto ha pensato ci fosse qualcosa di strano, dal momento che la donna sarebbe dovuta andare ad aiutare un parente disabile e non rispondeva nè alle chiamate, nè al campanello. Con la chiave lasciata in custodia alla vicina è così entrato nell'abitazione, scoprendo il corpo senza vita della donna, legato per il collo con una corda verde al termosifone.
L'ipotesi del suicidio fu subito scartata perché la corda era stata legata in un punto troppo basso per portarla alla morte, oltre al fatto che un problema alle braccia le avrebbe impedito di eseguire quel nodo in quella posizione.
Scartata anche la teoria di una rapina finita male, il cerchio si è stretto attorno ad affetti e conoscenti, e quando un'amica della defunta ha raccontato agli investigatori della relazione segreta e che i due erano soliti vedersi proprio il lunedì mattina, gli uomini della Mobile hanno iniziato a raccogliere i tasselli.
In serata hanno raggiunto il sospettato che si era fatto ricoverato in ospedale per un malore. Lo hanno torchiato per benino finche' il
Di Salvo non ha confessato.
Per lui è stata confermata la pena anche in appello, dovrà scontare 14 anni di reclusione, così come erano stati inflitti con l'abbreviato dal gup di Verona .
 
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view post Posted on 6/3/2022, 18:12
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Trapani:marito ed amante uccisero a picconate la moglie incinta.

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Un rapporto difficile quello tra Savalli e la moglie, un rapporto fatto di violenze fisiche e psicologiche, che hanno fatto da sfondo alla morte di Maria Anastasi. La donna incinta al nono mese, uccisa con una pala e il cui corpo è stato dato alle fiamme. Già nel corso delle indagini però era emerso che Salvatore Savalli avrebbe usato violenza anche suoi figli (un maschio e due femmine), colpendoli con calci e pugni al volto e all’addome senza alcun apparente motivo. In due circostanze, peraltro, avrebbe stretto le mani attorno al collo di una delle due figlie che sarebbe stata anche minacciata con un coltello.
La situazione nella casa della famiglia era un po’ particolare: infatti, a casa abitava anche l’amante dell’uomo, Giovanna Purpura, che l’uomo aveva presentato come un’amica da ospitare.
Ma la versione del padre non aveva convinto i figli, che avevano capito che Giovanna era un’amante. Ecco cosa aveva dichiarato la figlia: “Era la sua amante, e aveva ingannato anche mia madre, che era troppo buona. Si voleva prendere anche la mia cameretta, era diventata lei la padrona della casa e mia mamma era costretta a subire”.
Maria Anastasi sarebbe stata uccisa perché diventata una presenza ingombrante e scomoda per la relazione dei due amanti.
Dopo averla colpita ripetutamente con una pala, i due tentarono di bruciare il corpo per eliminare ogni prova. Savalli, per cercare di sviare le indagini è andato dai carabinieri a denunciare la scomparsa della moglie. Ma poi cadde in una serie di contraddizioni negli interrogatori ed alcune testimonianze hanno consentito agli inquirenti di ricostruire la terribile vicenda.
Così sono stati ricostruiti i fatti relativamente al giorno dell'omicidio: Savalli, la moglie e l’amante sarebbero usciti di casa tutti insieme, allontanandosi in auto. Arrivati in aperta campagna, i due amanti hanno ucciso Maria Anastasi. E dopo, Savalli e Purpura si sono accusati a vicenda dell’omicidio. La Cassazione con la condanna all'ergastolo ha confermato la sentenza della Corte di Assise di Trapani che il 10 luglio 2014 ritenendoli entrambi responsabili dell'omicidio li aveva condannati al carcere a vita. La stessa sentenza all'ergastolo per i due ex amanti era stata emessa il 5 febbraio del 2016 dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo.
 
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Poggiomarino :Uccise l'amante e la getto' in un pozzo nero


Di Luana Rainone si erano perse le tracce il 23 luglio 2020, il marito ne aveva denunciato la scomparsa. I carabinieri avevano ascoltato Del Sorbo, con cui secondo le indagini la ragazza aveva una relazione extraconiugale, ma il 34enne di Angri aveva negato di averla vista. Era stato però smentito dai tabulati telefonici e dalla registrazione di una telecamera di sorveglianza, nella quale si vedeva la Rainone che andava verso la sua baracca nel giorno in cui era scomparsa.
Dopo un lungo interrogatorio Del Sorbo era crollato e aveva alla fine confessato, indicando il luogo dove si era disfatto del corpo: lo aveva gettato nel pozzo nero davanti alla baracca, avvolto in un materasso e in un sacco di plastica. Il 34enne aveva raccontato che l'omicidio era avvenuto durante una lite. Secondo la sua versione si erano visti in casa sua e, dopo aver avuto un rapporto sessuale e consumato droga, avrebbero litigato perché la 31enne pretendeva che l'uomo dicesse di quella relazione alla compagna; la ragazza lo avrebbe colpito con un calcio e avrebbe tentato di strappargli il telefono e lui avrebbe reagito colpendola alla gola con un unico fendente, che si è rivelato fatale. Il 34enne era finito a processo per omicidio volontario e occultamento di cadavere, nel marzo 2021 era stato condannato in primo grado a 25 anni di carcere.
La Corte di Assise di Appello ha confermato la condanna a 25 anni di reclusione per Nicola Del Sorbo,
Fonte fanpage.it



 
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