| Licola 5/4/2023
Croce e delizia
Domenica pomeriggio ed ieri sera il “coro universitario Joseph Grima” ha tenuto un concerto in due antiche chiese storiche di Napoli: Santa Maria dei vergini e SS. Annunziata maggiore. La prima nel quartiere Sanità, la seconda nel quartiere Pendino.
Che meraviglia. C’è chi va via da Napoli, chi non riesce a staccarsene, chi parte e poi torna, chi va e viene, chi ci rimane e ne parla male, chi va lontano e ne parla bene. Una cosa li accomuna, sono napoletani, per il resto sono diversi uno dall’altro, biondi con gli occhi chiari, bruni e scuri o bianchi e magri, rubizzi e grassi, tutti affondiamo le nostre origini negli antenati che da tutto il mondo decisero di dare inizio ad una stirpe strana, ingarbugliata, simpatica e delinquente, impossibile da inquadrare, ingestibile, che senza pudore manifesta le sue nascite bastarde, alcuni poi spiattellano addirittura un cognome che dichiara una provenienza da chi sa dove. È il caso mio che col cognome teutonico ho scelto di nascere nel quartiere Pendino a pochi metri dall’Annunziata. Ecco con la scusa del coro ho rifatto un tuffo nella mia Napoli dalla quale non ho voluto allontanarmi, ma dalla quale mi sono allontanato nel quotidiano. Lontano ma non troppo, quanto basta per andare a trovarla senza grandi difficoltà. Sotto le rughe lo splendore dei palazzi nobiliari, sotto il velo del tempo la meraviglia delle ricche basiliche. Chiese da per tutto, ma anche un’abbondanza di barocco civile unico. E le persone? Io mi tuffo nei rapporti. Ieri ho chiacchierato con i custodi dell’ospedale dell’Annunziata, adiacente alla basilica, mi hanno consentito di parcheggiare nel cortile, poi uno di loro è stato così gentile da cercarmi in chiesa per avvisarmi che avevo lasciato la macchina aperta. Ho incontrato poi Giuseppe, un giovane che con un cartellino al collo si è improvvisato guida e mi ha raccontato della ruota degli esposti affianco alla chiesa in cui le madri in difficoltà portavano i neonati che venivano ricoverati nel reparto maternità dell’ospedale, i più fortunati erano poi adottati. Giuseppe, col suo fare accattivante ed il suo eloquio infarcito di tanti “di cui”, mi ha raccontato di nomi e date, di monache e nobili, ho saputo che uno di questi trovatelli fu il grande scultore e orafo Vincenzo Gemito. Ho fatto amicizia con Giuseppe, gli ho detto che se mi dovesse capitare di passare da quelle parti certamente sarei andato a cercarlo, lui mi ha risposto con calore che ne sarebbe stato molto contento. Un abbraccio a tutti. Giovanni
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