Le stronzate di Pulcinella

1940/45 i bombardamenti e gli sfollati italiani:con immagini d'epoca

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Pulcinella291
view post Posted on 7/12/2016, 19:09 by: Pulcinella291
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Oggi e nei prossimi giorni analizzeremo il dramma che milioni di Italiani furono costretti a vivere sulla proprio pelle, a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, con particolare riferimento allo sfollamento volontario.
Fin dal giugno ‘40, infatti, ma soprattutto dall’autunno ’42, in tutta la penisola, milioni di italiani si allontanarono dalle città bombardate e, più tardi, dalle zone attraversate dal fronte militare, per cercare un rifugio più sicuro.
Devastazioni ovunque nel centro e nei quartieri periferici, costrinsero gli Italiani a lunghe peregrinazioni e all'abbandono delle loro case e delle loro cose.
Analizzeremo il fenomeno, tentando un percorso in lungo ed in largo per la penisola dove piu' si produsse un vero e proprio movimento di massa verso le campagne circostanti, in particolare verso la provincia .Sara' questo uno degli obbiettivi centrali delle nostre ricerche.
Terremo anche in debito conto che questo esodo, mentre da un lato coincise con momenti di solidarietà, provoco' anche in molti casi momenti di tensione con le popolazioni locali, già ampiamente provate dal punto di vista economico e sociale.


Il fenomeno degli sfollati, come vedremo, assunse una grande dimensione in Italia, particolarmente nelle grandi città dotate di vaste aree industriali maggiormente sottoposte ai bombardamenti .


I Bombardamenti e gli sfollati di Milano.



Nel 1940 Milano era ritenuta dagli Inglesi un importante obiettivo militare, essendo la più sviluppata città industriale d'Italia e una delle più rilevanti a livello europeo, situata all'interno del triangolo industriale, con Torino e Genova.
La città era ritenuta inoltre uno dei principali snodi ferroviari del Paese, caratterizzata da 21 linee ferroviarie, da una delle stazioni più grandi d'Europa e da importantissimi scali merci, tra i quali Lambrate e Farini, snodi vitali per le suddette industrie.
Gli Inglesi erano in possesso di rapporti ben dettagliati, per cui sapevano benissimo che bombardare la città equivaleva,non solo a mettere in ginocchio una popolazione di circa un milione e centomila gli abitanti , ma anche tutte le principali realtà produttive di Milano e provincia, tra le quali spiccavano la Alfa Romeo, la Edoardo Bianchi, le Officine Galileo, la Magneti Marelli, le officine Borletti, la Tecnomasio Italiana Brown Boveri, la Pirelli, la Isotta Fraschini, la Breda, la Caproni, l'Ansaldo e, ma non ultima, la Falk acciaierie.


Alla luce di tutto ciò, il bombardamento sistematico fu in un primo momento (fino a tutto il 1943) rivolto a colpire la città "civile", mirando su case e popolazione, affinchè questa terrorizzata spingesse sul Governo a chiedere un armistizio; in un secondo tempo (dal 1944) si accanì su fabbriche e produzione bellica, asservita alle esigenze tedesche.
Diversi quartieri di Milano furono gravemente danneggiati. La città iniziò a svuotarsi, quelli che poterono, fuggirono in campagna o nei paesini piu' piccoli per rientrare tra gli obiettivi dei bombardieri, dando inizio al fenomeno dello sfollamento .Numerose furono le aziende che spostarono la produzione in altre località, ritenute più sicure.

I BOMBARDAMENTI DI TORINO E GLI SFOLLATI


Già nella prime ventiquattro ore dall’entrata in Guerra da parte dell’Italia, Torino fu costretta di subire i primi bombardamenti.
Gli inglesi, infatti, attratti dalle istallazioni industriali di Torino, cominciarono, a dire la verità con scarsi successi a sganciare le prime bombe.
Cominciarono anche i primi morti e feriti tra la popolazione e vi fu anche un abbattimento di un areo nemico.
Da quel tragico giorno, fino al 5 aprile 1945 i torinesi vissero sotto i bombardamenti, gli aerei delle forze alleate scagliarono più di 7.000 bombe dirompenti ad alto potenziale e oltre 300.000 mezzi incendiari, i morti furono 2069, migliaia i feriti, il bombardamento più tragico fù quello del 13 luglio 1943, in 70 minuti, 250 aerei Lancaster bombardarono la città, ci furono 792 morti e oltre 1000 feriti.
Se i danni materiali di questa prima fase di guerra a Torino, non furono molto significativi, non si può non tener conto dell’angoscia che viveva la popolazione richiamata anche piu' volte al giorno dagli allarmi aerei.
L’1 ottobre fu decretato il tesseramento delle sostanza grasse animali e vegetali, il 2 dicembre il razionamento venne esteso a pasta, farina, riso. In poche parole nei primi due anni dalla dichiarazione della belligeranza, la guerra fu sempre presente anche tra la ritmica vita quotidiana dei Torinesi.
Intanto aumentavano le restrizioni: il 7 Febbraio 1942 veniva decretata la riduzione del 35% dei consumi d’energia elettrica, il 3 Marzo toccava all’orario d’erogazione del gas ed infine l’11 novembre vennero soppresse le comunicazioni telefoniche interurbane e le spedizioni tramite ferrovia.

Purtroppo i bombardamenti, col passar del tempo divennero i sempre piu' sistematici. La vera incursione iniziò nella notte del 18 Novembre 1942, che dopo alcuni attacchi subiti rispettivamente il 22 e 23 Ottobre, 77 aerei piombarono su Torino alle 21:30 e per due ore scagliarono sulla città ben 91 bombe dirompenti e diverse migliaia di spezzoni incendiari che (ovviamente) provocarono molti incendi, anche nel cuore della città. L’incursione non risparmiò nemmeno la fabbrica dei motori della Fiat (uno degli obbiettivi più considerati). Anche questa volta, come nel principio della guerra, Torino si rivelò impreparata; Avvenne che la maggior parte di coloro che erano sfollati dalla città a seguito dei primi bombardamenti, aveva fatto progressivamente ritorno nelle proprie abitazioni, pensando che il peggio fosse ormai passato. Al contrario… quella incursione fu solamente l’inizio di una serie di bombardamenti ravvicinati. 6 raid nei successivi venti giorni hanno fatto piombare la città in un mare di fuoco e fiamme rendendo la situazione infernale ed esasperante e con moltissimi morti e feriti.
I bombardamenti continuano nei mesi successivi, con momenti di calma e nuovi attimi di paura. Nuovi attacchi tra novembre e dicembre 1942 colpiscono ancora maggiormente la zona industriale di Torino, dato che molte industrie erano occupate nella produzione d’armamenti o comunque il loro attacco indeboliva industrialmente tutto il territorio.
Secondo i rapporti dell’epoca a riguardo degli attacchi di febbraio 1943, la maggior parte dei danni si concentrarono nella striscia urbana che corre in diagonale da sud-est a nord-ovest, colpendo in due punti lo stabilimento della fiat Lingotto, altri sette fabbricati industriali e distrutti dagli incendi diversi edifici di varia natura. Nel corso dello stesso raid, bombe ad alto potenziale raggiunsero anche i centri periferici di Grugliasco e Rivoli dove molti Torinesi si erano rifugiati scappando dal capoluogo.
L’incedere dei bombardamenti alleati porta un gran numero di torinesi a lasciare la città: nell’estate del 1943 circa la metà dei torinesi sfolla verso i centri minori considerati più sicuri. Anche alcune industrie, per timore dei danni delle bombe, decidono di decentrare parte della propria produzione.
Comincio' cosi' un precipitoso abbandono della città da parte di molti dei suoi abitanti che riparano verso luoghi più sicuri come i centri minori della provincia o gli altri capoluoghi della regione, non ancora significativamente toccati dalle incursioni aeree.
Uno sfollamento che conosce una rapida impennata nell’estate del 1943 quando, nel mese di luglio, sono 338.000 i torinesi (il 48,45% della popolazione) che decidono di abbandonare le proprie case. Un mese più tardi, la cifra cresce e raggiunge quota 465.000. Di questi almeno 110.000 sono pendolari giornalieri, e cioè lavoratori che, favoriti anche dal clima estivo, partono la sera per andare a dormire, “nei centri della cintura, nelle cascine o in aperta campagna”, per poi tornare in città il giorno successivo a lavorare nelle fabbriche, alcune delle quali (la Elli Zerboni e la INCET, solo per citarne alcune), temendo i danni arrecati dai bombardamenti, decidono di decentrare produzione e impianti in località minori ritenute più sicure, lasciando in città solo parte della lavorazioni.


Lo choc provocato dagli aerei inglesi fu uno dei punti che segnarono una delle svolte più grandi nel comportamento e nella vita degli abitanti. In momenti come quello, segnati dal terrore e da una situazione instabile, gli abitanti della città che non erano sfollati diedro vita a uno dei gesti di responsabilità e bontà d’animo più dimenticati dai resoconti del conflitto.
In quei giorni, nacquero difatti a Torino i primi orti di guerra, che sopravvissero fino alla fine dell’impegno bellico e alla successiva ricostruzione.
Questi orti non erano altro che un’idea semplice e allo stesso tempo geniale: sfruttare i maggiori parchi e giardini per la coltivazione di verdure e tuberi. La carestia e le difficoltà nei trasporti di cibo vennero combattuti da un’organizzazione profonda e socialmente sentita, che sotto volere ed aiuto del regime, fece resistere i torinesi nel periodo bellico.
La produzione agricola spostò quindi il suo baricentro: il parco del Valentino fu adibito alla coltivazione di patate, la piazza d’Armi a quella dei cavoli e le zone adiacenti gli stabilimenti industriali come Mirafiori, videro la comparsa dei cereali.
Come incoraggiamento e per celebrare la partecipazione attiva dei torinesi al sostegno della città, il governo organizzò addirittura una cerimonia di trebbiatura del grano degli orti di guerra, che si tenne a luglio del ’42 in piazza Castello, in presenza delle maggiori autorità dell’epoca.
A tal proposito Cesare Pavese nella sua "la casa in collina "dira' :"“Tutta una classe di persone, i fortunati, i sempre primi, andavano o se n’erano andati nelle campagne, nelle ville sui monti o sul mare. Là vivevano la solita vita. Toccava ai servi, ai portinai, ai miserabili custodirgli i palazzi e, se il fuoco veniva, salvargli la roba. Toccava ai facchini, ai soldati, ai meccanici. Poi anche costoro scappavano a notte, nei boschi, nelle osterie”.
Intanto i viveri erano razionati, le macellerie erano aperte un solo giorno alla settimana per distribuire la razione di carne.
Scarseggiano le sigarette e la popolazione le inventa con le cicche o con altra roba tipo foglie messe ad essiccare.
Un pacchetto di sigarette spetta anche a chi non fuma e se ne serve come merce di scambio. E' il tempo anche dei surrogati.
Non essendoci il caffe', si abbrustoliscono i chicchi di grano e altri cereali per chi riesce a reperirli anche sfruttando parentele ed amicizia di campagna.
In città la gente fu costretta ad inventarsi i generi di prima necessita', come il burro e il sapone poichè alla borsa nera i prezzi erano diventati esorbitanti e quindi inarrivabili. Spesso al posto del sapone , per lavare i panni si usava la cenere.
Nelle campagne la vita era un po' migliore, non solo perchè i bombardamenti erano quasi inesistenti, ma anche perchè qualche genere di prima necessita' era piu' reperibile.
La città di Carmagnola fu quella che accolse il maggior numero di sfollati, seguita da Carignano, Lombriasco, Poncalieri e San Bernardo.


I BOMBARDAMENTI E GLI SFOLLATI DI GENOVA

I Bombardamenti di questa città cominciarono il 14 giugno 1940. Nella notte dell'11 giugno, infatti, aerei britannici sganciarono 5 tonnellate di bombe su Genova, e lo stesso accadde la notte del 13 stavolta da parte di aerei francesi.
Negli anni successivi gli attacchi alla città divennero sistematici.
Il compito di colpire i centri liguri e quelli di tutto il resto della penisola toccò alle forze aereo-navali britanniche. Nella logica di queste azioni di bombardamento, i comandi inglesi decisero un'azione di forza contro le coste della città di Genova sia da mare che dal cielo.
Gli obiettivi iniziali del bombardamento furono i cantieri Ansaldo e le fabbriche che si trovavano sui due lati del torrente Polcevera, ma numerosi incendi e relativo fumo costrinsero gli inglesi a spostare il tiro sul bacino commerciale; altri colpi raggiunsero poi la centrale elettrica e i bacini di carenaggio ed infine fu colpita la nave cisterna Sant'Andrea che stava entrando in porto.



La logica perversa britannica, secondo la quale non bisognava solo colpire siti industriali o bellici, ma anche edifici residenziali per fiaccare l'animo degli abitanti, portarono anche alla distruzione di moltissimi edifici civili e storici come la cattedrale di San Lorenzo - nella quale un proiettile da 381 mm, dopo aver perforato due muri maestri, andò ad adagiarsi inesploso sul pavimento - la chiesa della Maddalena, l'Accademia ligustica, l'ospedale Duchessa di Galliera - dove trovarono la morte 17 ricoverate - alcuni palazzi all'inizio di via XX Settembre e l'Archivio di Stato. Una delle zone maggiormente colpite fu quella di piazza Colombo che poco dopo mutò il suo nome in "piazza 9 febbraio" per poi riprendere a guerra finita la vecchia denominazione
I danni materiali e sociali furono enormi; il comune dovette provvedere ad alloggiare presso alberghi e pensioni circa 2.500 senzatetto, erogando vitto ed alloggio per 2.781.218 lire, aiuti in denaro per 955.289 lire, vestiti, scarpe, indumenti vari per 692.044 lire, articoli da cucina e masserizie per 315.374 lire, affitti per 77.765; mentre dalla "Cassetta del Podestà" vennero raccolte 1.472.649 lire a cui si aggiunse un milione di lire di contributo disposto dallo stesso Mussolini. Decine di abitazioni del centro storico furono vittima di crolli anche posteriori al bombardamento.
Il morale dei civili divenne un obiettivo principale.
La convinzione che i bombardamenti i avrebbero avuto un effetto enorme sul morale di una popolazione trascinata in guerra contro voglia dal proprio regime
rimase una costante della politica britannica fino all’armistizio del 1943.
Mentre nel caso della Francia gli attacchi, in principio, erano limitati a obiettivi specifici legati all’occupazione tedesca e non ai civili francesi, nel caso delle città
italiane gli inglesi decisero da subito di colpire le popolazioni con l’intenzione di verificarne la resistenza psicologica.
E cosi' che una parte della popolazione decise di scappare dalla città, per raggiungere centri viciniori risparmiate dalle bombe.
Nel 1943 gli alberghi migliori sono requisiti dagli occupanti (La Kriegsmarine al Vittoria e l’esercito all’Eden), con l’eccezione del Savoia che, pur continuando a funzionare come albergo, ospita parecchi ufficiali tedeschi tra i quali il Maresciallo Kesserling e successivamente il generale Meinhold che firmerà l’atto di resa ai partigiani genovesi
Il Savoia si salva per merito del colonnello della marina tedesca Waldemar Lutje che insieme ad altri tre ufficiali (e attendenti) rimarrà al Savoia fino alla fine dell'occupazione tedesca. Agli ospiti, in massima parte sfollati da Genova, viene consentito di rimanere (unico caso a Nervi).
Durante la seconda guerra mondiale Nervi resta un’isola relativamente “felice” in quanto non viene mai bombardata pur essendo vicina a Genova. Scarseggia il cibo e l'accesso alla costa diventa molto difficile. La Passeggiata viene chiusa con filo spinato e in parte minata.
Molti genovesi benestanti e cittadini svizzeri si spostano negli alberghi di Nervi per godere di una maggiore sicurezza pur mantenendo la possibilità con il tram di lavorare in città.
In molte campagne liguri per combattere la fame, prima a seguito dei bombadamenti poi durante morsa dell’assedio nazista al territorio,si semina grano
anche due volte all’anno e si estendevano , dove possibile le coltivazioni di patate, castagne e ortaggi. Molti ripresero a fare mestieri antichi e ormai quasi abbandonati come i carrai, i mulattieri, i carbonai o i ferrai per nutrir le proprie famiglie, gli sfollati dalla città e i partigiani con i quali uomini e donne delle montagne e delle vallate della Provincia di Genova restarono sempre solidali, a ogni costo: li protessero nei venti durissimi mesi dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, offrirono loro cibo e tetto, ne curarono e ospitarono i feriti ,seppellendo i morti.
continua








Edited by Pulcinella291 - 9/12/2016, 10:37
 
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