Le stronzate di Pulcinella

Fotografie che hanno fatto la storia

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view post Posted on 8/8/2021, 09:44
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Erano loro quelli che lavoravano come muli anche a 1000 metri sotto terra, dove arrivavano stipati come bestiame in ascensori di legno. Con attrezzature pesanti per tirare fuori il carbone, pagati una miseria, senza misure di sicurezza, per poi dormire in baracche che un tempo ospitavano prigionieri. E se non ti stava bene, fuori che ce ne sono altri.
Di tutti questi ne morirono 136 italiani nella miniera di Marcinelle quella mattina dell’8 agosto del 1956. I “musi neri” li chiamavano. In totale, le vittime furono 262. Ma l’Italia, l’Italia che mandava braccia in giro per il mondo, pagò il prezzo più alto. Morirono tra le fiamme nel buio della miniera.

Dei 6 imputati, 5 furono assolti. Ci fu una sola condanna: un ingegnere. 6 mesi di carcere, ma con la condizionale. E 2mila franchi di multa.

Alla memoria di quei lavoratori, uccisi due volte in quegli anni, il ricordo di tutta Italia.

Edited by aurora663 - 9/8/2021, 07:29
 
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view post Posted on 9/8/2021, 09:16
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La mafia gli fece una richiesta precisa. Una di quelle a cui non si poteva dire di no.
Chiese a lui, professore e medico legale esperto di balistica, di falsificare i risultati dell’impronta di un assassino, di un mafioso nipote di un boss che aveva partecipato ad una strage, e le cui impronte erano state trovate su un’auto.
Paolo Giaccone rifiutò. Non insabbiò nulla. Perché era un medico, perché voleva tenere fede al suo giuramento e perché era una brava persona. Resistette anche quando la domanda diventò minaccia. Non falsificò i dati e l’assassino venne condannato all’ergastolo. E lo fece sapendo che cosa avrebbe comportato.
Era il dicembre del 1981. In agosto, mentre si recava all’istituto di medicina legale, venne raggiunto da due sicari. Gli spararono cinque colpi per esser sicuri di ammazzarlo.

Oggi il Policlinico di Palermo porta il suo nome. In ricordo di uomini come Paolo Giaccone e tanti altri come lui, che alla mafia hanno detto di no pagando il prezzo più alto, il ricordo di tutta Italia. Che quando qualcuno propone di cancellare i nomi delle vittime di mafia dalle strade e dalle piazze, com'è avvenuto anche in questi giorni, deve tornare ancora più vivo in tutti noi.


Leonardo Cecchi
 
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view post Posted on 9/8/2021, 21:28
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I PONTI SUL TITERNO. PONTE TURIO.
Durante la seconda guerra mondiale, il 4 ottobre 1943, alle 20,00, vennero abbattuti due ponti ad archi in pietra che avevano sostituito vecchi ponti di origine romana. I soldati tedeschi, ormai in ritirata, per sfuggire agli americani che erano vicini, pensarono di arretrare verso il Molise attraverso la valle Cusanese - (pure loro! Dopo i Romani ed Annibale quella strada era diventata famosa!). Per guadagnare tempo, decisero di abbattere i ponti prima dell’arrivo dei nemici. Senza ponti, infatti, per uscire dalla Valle di Cusano, o si valicava il Monte Erbano, come fece Annibale (...ed io, giovane San Tommaso ignorante e presuntuoso... non credevo a Don Nicola...), o si andava per la Madonna della libera. Lo storico tratturo che, tagliando per il Matese, univa Saepinum a Telesia, e scavato in parte nella viva roccia (per cavam rupem- T. Livio), era interrotto in più punti dalle frane, tutte da me verificate. Il più vicino a noi era il ponte sul Turio, costruito qualche secolo fa, quando, per migliorare il percorso, fu abbandonato il vecchio ponte (vedi foto) accanto al sottostante mulino. Un grazie di cuore a Francesco De Vivo che mi ha fatto il gradito regalo, anzi, due! Si è privato di due cartoline autentiche (l'altra è una vera chicca... io ne avevo solo una brutta copia, già pubblicata!) per regalarle al "vecchio" prof., anche se lui era della Ragioneria. Che dire...auguri di cuore all'appassionato collezionista, perchè la figlia brilli come merita. Dopo tutto quello che ha passato.



P.S. Da notare che la cartolina riporta l'esatto nome del torrente: Turio, che significa tanto, prima che diventasse, con un non raro errore di trascrizione, Tullio...che non significa nulla.


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view post Posted on 12/8/2021, 14:58
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Li chiusero tutti in una stalla, donne, bambini, anziani. Poi, dato che era piena di fieno, i tedeschi iniziarono a sparare da un lato con il lanciafiamme, mentre dall’altro, dall’ingresso, altri si paravano davanti alla porta per impedire la fuga.

Mario Marsili aveva sei anni, era lì solo con sua madre Genny e i nonni. Tra le grida e la disperazione di gente che stava morendo bruciata, Genny pensava solo ad una cosa: salvare suo figlio. Fece quindi nascondere Mario dietro ad una porta, più lontano dal fuoco: “Stai qui e non ti muovere” gli disse, e lui obbedì.

Ma ad un certo punto un soldato tedesco si fece avanti. Con qualche passo in più avrebbe notato Mario, avrebbe capito che lì nascosto si sarebbe salvato dalle fiamme e gli avrebbe sparato. Allora Genny, che aveva già capito che da lì non sarebbe uscita viva, ebbe un’unica preoccupazione: proteggere suo figlio e farlo ad ogni costo. Lo fece allora nell’unico modo che aveva a disposizione: cercando di distrarre il soldato tirandogli uno zoccolo di legno. L’espediente riuscì, perché il soldato non vide Mario, ma costò la vita a Genny, che venne immediatamente falciata da un colpo di mitraglietta. Cadde accanto a Mario e morì soffocata dal sangue.

Mario rimase dietro quella porta mentre la stalla andava a fuoco. Ci rimase otto ore.
Lo tirarono fuori dei soccorritori. Ustionato, aveva persino i polmoni scoperti.

Si salvò per miracolo grazie all'amore di una madre e alle suore di un convento che curarono quel bambino ustionato e rimasto orfano, e che oggi è uno dei pochi sopravvissuti ad uno dei più grandi orrori del nostro Paese, la Strage di Sant’Anna di Stazzema, dove ammazzarono 560 persone, di cui 110 bambini, targata quel nazismo che oggi ancora si annida nel nostro Paese.

Alla forza di quest'uomo, che da più di settant'anni vive con questa atrocità sulle spalle, e che pure continua a girare in lungo e in largo per non far dimenticare quell'orrore, il nostro più alto saluto raccontando la sua storia che merita di esser raccontata ogni anno il 12 agosto.
 
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view post Posted on 24/8/2021, 08:57
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Forse non è una foto che può passare alla storia ma è una foto che parla di un momento storico e un momento di vita che stiamo vivendo in questi giorni molto difficile
E una foto che riporta una donna afghana che è riuscita in qualche modo a salvarsi

In questi giorni terribili il pensiero torna a questa donna qui, Nadia Nadim, perché nessuno più di lei sa cosa significhi vivere sotto i talebani.

Nadia è nata ad Herat e cresciuta a Kabul, nell’Afghanistan pre-11 settembre. Quando aveva 11 anni, il padre fu sequestrato e ammazzato dai talebani e a lei fu impedito di andare a scuola, come a tutte le ragazze afghane.

A Nadia non restò altro da fare che fuggire all’estero assieme alla madre Hamida e alle quattro sorelle. Viaggiarono per mesi, nascoste in camion di fortuna, dormendo nelle stazioni e passando anche dall’Italia, prima di riuscire a raggiungere un campo rifugiati in Danimarca.

Qui scoprì la sua grande passione per il calcio, che in breve diventò la sua vita, fino a renderla in pochi anni una stella europea e della Nazionale danese.

E, mentre faceva tutto questo, ha trovato il tempo di imparare e parlare quasi perfettamente 9 lingue, è stata citata da Forbes tra le 20 donne più influenti dello sport mondiale, nominata dall’Unesco ambasciatrice per l’istruzione di giovani donne e per promuovere l’importanza della parità di genere, e si sta per laureare in Medicina con l’obiettivo dichiarato di diventare chirurga ricostruttiva, una volta appesi gli scarpini al chiodo.

Il suo primo pensiero, dopo la presa del potere dei talebani nel suo Paese, è stato:

“È straziante. Dopo vent'anni che tentiamo di uscire da tutta quella m... che è successa, ora siamo punto a capo. È sconvolgente".

Quando vomitate che “non li possiamo accogliere tutti”, state chiudendo la porta in faccia a bambine un tempo - e oggi donne - come Nadia Nadim, cancellando le loro vite, la loro storia, il loro diritto a esistere, a realizzarsi. Non dimentichiamolo.

Fonte L. TOSA AUTORE
 
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view post Posted on 30/8/2021, 11:09
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A questo foto spetta il diritto di passare alla storia.
Si tratta di di Nicol Gee che cullava uno dei bimbi affidati dalle madri afghane ai militari.
E' l’ultimo ricordo del sergente del Corpo dei Marines, morta nell’attentato Isis suicida all’aeroporto di Kabul in Afghanistan che è costato anche la vita a più di 160 afgani.
 
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view post Posted on 8/9/2021, 09:42
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Un pezzo di storia del nostro paese, una banconota che è molto più di ciò che sembra, il suo valore è qualcosa di incredibile.
La sua storia è quella degli ultimi cinquant’anni e più del nostro paese. Una banconota che è simbolo, ha rappresentato speranza e che ancora oggi più che mai tende ad emozionare quanti l’hanno vissuta. Per la sua semplicità, per l’impatto visivo che può portare a scatenarsi i ricordi più vivi ed indelebili. La mille lire con il volto di Giuseppe Verdi
in circolazione fino all’inizio degli anni ottanta, 1981,per la precisione rappresenta un pezzo di storia italiano, protagonista assoluta di più di dieci anni di cronache, vicende, momenti di vita.
La mille lire con il volto di Giuseppe Verdi, entrata in circolazione nel 1969 e ritirata nel 1981 per far posta al volto di Marco Polo e poi ancora dopo, nel 1990 di Mari Montessori è rimasta in circolazione, per modo di dire, non ufficialmente, ma di fatto la si poteva trovare da qualche parte, fino all’istituzione dell’Euro. Il suo valore nominale è basso, molto basso, basti pensare che potrebbe equivalere alle attuali monete da 50 cent, ma il valore reale, concreto, occasionale perchè certo può dipendere anche da una valutazione affrettata e sfrontata è molto più alto.
Il valore concreto, quello che un collezionista alla ricerca di un pezzo pregiato può determinare, invece, è tutt’altra cosa. Si parte dai 5o euro fino ad arrivare ad un massimo ipotetico di circa 700 euro. Niente di fantascientifico, soltanto la realtà dei fatti, il collezionismo ultimamente concede certi colpi di testa, certe variazioni importanti in quanto a valutazioni concrete.

E’ chiaro che a determinare il valore della banconota incide anche e soprattutto la sua condizione, la qualità della conservazione insomma. Un banconota intatta, senza parti mancanti, squarci o altro,
 
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view post Posted on 14/9/2021, 09:35
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Alberto Giacomelli era un uomo riservato, mite, dedito al lavoro. Mai sotto i riflettori. Un padre di famiglia che la scorta la faceva venire un poco più avanti rispetto a casa sua, perché uscendo di casa non voleva “creare confusione”.

Giacomelli era un magistrato anziano che faceva il suo dovere. Lo fece anche nel 1984, quando sotto gli occhi gli finì uno dei provvedimenti più rischiosi dell’epoca: quello del sequestro della casa di Gaetano Riina, fratello di Totò Riina, “la Bestia”.

Lo firmò senza pensarci due volte.

La mafia aspettò che andasse in pensione. Ce lo “costrinse” il figlio ad andarci, anche se lui gli diceva tanto “mi ammazzeranno lo stesso”.

E così fu, perché i sicari lo uccise la mattina del 14 settembre, quando ormai era in quiescenza.

Il corpo rimase così a lungo sulla strada che, come il ricorda il figlio, il comune dovette rifare l’asfalto, tanto era il sangue versato.

Cercarono di farlo passare per delitto passionale, infangandone il nome. Poi per una rivalsa di un gruppo di ragazzi che avevano avuto a che fare con la droga.

Ci vollero anni prima che si capisse che Giacomelli era stato ammazzato per una firma.

Gli assassini non sono mai stati trovati. Giacomelli pagò anche il suo essere un uomo riservato, con la sua storia ingiustamente dimenticata da una grossa parte dello Stato.

In questo giorno, a lui va allora il ricordo di chi non dimentica i servitori dello Stato e il loro enorme coraggio.FB_IMG_1631608125770
 
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view post Posted on 17/9/2021, 10:41
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Ne internarono 600mila. I tedeschi li rastrellarono dall’Italia, dalla Jugoslavia, dalla Grecia, dalla Francia.

Dopo l’8 settembre, più di mezzo milione di italiani finì nei campi di concentramento.

Li picchiavano, li trattavano come subumani. Li facevano lavorare come schiavi nell’industria pesante. Li riducevano a cercare topi, rane, bucce lasciata dai soldati tedeschi.

Morirono a decine di migliaia per il freddo, la malnutrizione, le botte, le esecuzioni.

L’8 settembre, quando un re vigliacco firmò un armistizio giusto senza però assumersi nessuna responsabilità, e anzi fuggendo al Sud per mettersi al riparo, condannò tanti connazionali che già avevano sofferto per la guerra. Li condannò alla morte, la schiavitù, l’oppressione.

Oggi che è l’8 settembre ricordiamo chi di loro non ce l’ha fatta.

E ricordiamo la scelta più giusta che gli italiani presero anni dopo: mandare via a pedate un re codardo che dopo aver dato al paese vent’anni di dittatura si salvò la pelle a spese di quella di centinaia di migliaia di connazionali.
 
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view post Posted on 17/9/2021, 19:51
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Vorrei fare alcune precisazioni all'ottimo post di Ciro : la fuga del re è un romanzo che vede protagonisti gli antieroi peggiori d'Italia cominciando da Badoglio che aveva già da tempo fatto trasferire consistenti ricchezze in Puglia. Inoltre, pare che già dai primi di settembre la moglie e la figlia di Badoglio si fossero trasferite al sicuro in Svizzera che aveva già spostato i familiari in Svizzera.

Anche sul Re sono stati sollevati dubbi riguardo alla lealtà verso il Paese, dal punto di vista economico; in un suo libro Indro Montanelli sostiene come il Re mantenesse cospicui depositi di denaro in Gran Bretagna, ma veniamo all'ignominosa fuga.

All'alba del 9 settembre Vittorio Emanuele III di Savoia salì insieme alla regina Elena, al generale Puntoni e al tenente colonnello De Buzzacarini sulla Fiat 2800 grigioverde di quest'ultimo. Badoglio con il duca Pietro d'Acquarone e Valenzano nella seconda vettura, mentre il principe Umberto prese posto su una terza vettura. Il piccolo convoglio lasciò Roma sulla via Tiburtina.

Erano assenti tutti gli altri membri della Famiglia Reale, alcuni dei quali furono poi arrestati dai tedeschi e internati in Germania (la principessa ereditaria e i figli riuscirono però a riparare in Svizzera). La principessa Mafalda di Savoia, sposata al principe d'Assia e che in quei giorni si trovava in Bulgaria, non fu avvisata della fuga dei Reali da Roma e cadde quindi facilmente prigioniera dai nazisti e fu deportata nel campo di concentramento di Buchenwald ove, duramente provata dalla prigionia, morì,

E' bene ricordare che gli italiani furono avvisati dell'armistizio dalla radio, la sera dell'8 settembre 1943, ma l'armistizio stesso era già stato firmato ed era effettivo dal giorno 3 settembre e solo quando gli alleati USA in testa, stanchi dell'attesa della comunicazione ufficiale al popolo stavano per proclamare la resa dell'Italia, fu affidato il bollettino all'EIAR la RAI del tempo.

Nel pomeriggio le auto raggiunsero l'aeroporto di Pescara, dove era presente un gruppo di volo comandato dal principe Carlo Ruspoli che, avuta notizia delle intenzioni dei Reali, di fuggire in volo verso l'Africa, espresse stupore e sdegno per quella fuga; Vittorio Emanuele III si trincerò dietro gli obblighi costituzionali "Devo essere ossequente alle decisioni del mio governo". A quel punto, però, l'uso dell'aeroplano fu escluso nel timore di possibili ribellioni: anche dei piloti operanti in zona che non erano d'accordo a partecipare ad un'azione che consideravano vile ed indecorosa.

Si decise così di continuare il viaggio in nave partendo dal porto di Ortona, in quanto il porto originariamente previsto di Pescara, avendo la popolazione della città venuta a sapere della fuga, si mostrò indignata e, per evitare problemi, la comitiva di fuggiaschi e le navi destinate ad essi furono deviate verso il porto di Ortona. Era stata chiamata al porto di Pescara da Zara la corvetta Baionetta, da Taranto l'incrociatore Scipione l'Africano e la corvetta Scimitarra. il Re e il suo seguito si imbarcarono da Ortona sulla corvetta Baionetta che li condusse a Brindisi, che al momento non si trovava sotto il controllo degli alleati, né dei tedeschi.

L'imbarco verso la salvezza fu drammatico: una folla vociante di 250 ufficiali con tanto di famiglia e conoscenti, già in attesa del Re, aveva infatti cercato (per lo più inutilmente) di aggiungersi alla comitiva. La nave non attraccò, nella lancia inviata al molo comunque fu stipata più gente che si poteva. Molti, militari e non, a seguito del Re non riuscirono ad imbarcarsi, tornarono a Chieti da dove, abbandonati gli averi e procurati abiti civili e anonimi, si diedero alla macchia.

Durante la navigazione la compagnia fu seguita da un ricognitore tedesco che documentò con fotografie la fuga dei Reali, ma nulla seguì a tale controllo.
 
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view post Posted on 22/9/2021, 12:39
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MILLE

Ecco il titolo potrebbe farci pensare ad una recente canzone, ma no, io nonn voglio parlarvi della simpatica e orecchiabile canzone di Orietta Berti Fedez , ma di un altra canzone anch'essa titolata "mille", forse non simpatica ma di ottima musicalità e di grande impatto storico.
Chi la propone é il cantante Eugenio Bennato e la canzone parla di una storia iniziata come una bella favola ma finita in tragedia.
Edoardo non critica l'unità raggiunta ma il sistema adottato che ha reso qualcosa che sarebbe potuto essere una grande impresa in una orrenda carneficina.
Tutto al di là di ogni credo politico, vi inserisco il testo... Ascoltatelo






Mille garofani strappati dai giardini
Mille corone di diamanti e di rubini
Mille bandiere sotto il sole di Sicilia
Questa è una guerra di giustizia e così sia
Questa è una guerra di giustizia e così sia

E sono mille che hanno attraversato il mare
Per camminare tra gli aranci e le fiumare
E tutto il popolo fa festa e mena rose
Questa è una guerra e cambierà tutte le cose
Questa è una guerra e cambierà tutte le cose

Mille soldati per una promessa sola
La terrà finalmente andrà a chi la lavora
E non ci sarà più chi è servo e chi è padrone
Questa non è una guerra, è una rivoluzione
Questa non è una guerra, è una rivoluzione

Mille fante, mille marenare
Mille marenare e nu generale
Mille fante, mille marenare
Mille marenare e nu generale

Mille camicie per giocare a questo gioco
Mille paesi che son messi a ferro e a fuoco
Chi sopravvive morirà a Fenestrelle
Questa è una guerra come tutte le altre guerre
Questa è una guerra come tutte le altre guerre

Mille soldati per entrare nella storia
Viva l'Italia e viva sempre il re Savoia
Ma viva pure chi a guerre s'è ribellato
Questa è una guerra che non se n'è mai parlato
Questa è una guerra che non se n'è mai parlato

Mille bugie che vanno sempre più lontano
E la realtà che si fa strada piano piano
Tra le parole di canzoni cancellate
Questa è una guerra di briganti e tammuriate
Questa è una guerra di briganti e tammuriate

Mille fante, mille marenare
Mille marenare e nu generale
Mille fante, mille marenare
Mille marenare e nu sole fort

Che bella favole che ci hanne raccuntate
Che bella storie ch'è la storie d'o' passate
Che bella Italie che s'ha dda sape' a memorie
Pecché sta scritte 'ncopp' a tutt' e libbr' è storie

Mille fante, mille marenare
Mille marenare e nu generale
Mille fante, mille marenare
Mille marenare e nu sole fort

Mille garofani strappati dai giardini
Mille corone di diamanti e di rubini
Mille fucili per colpire e andare via
Questa è una guerra maledetta e così sia
Questa è una guerra maledetta e così sia
 
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view post Posted on 22/9/2021, 15:05
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Non la conoscevo di Eugenio Bennato grazie del testo
 
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view post Posted on 3/10/2021, 14:09
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Foto Storiche: 1939 - L'ultima esecuzione pubblica con la ghigliottina
Eugène Weidmann è stato l'ultimo criminale a essere stato giustiziato pubblicamente con la ghigliottina. Era il 17 giugno 1939. Era colpevole di vari rapimenti e omicidi.
L'ultima esecuzione della pena capitale, sempre mediante ghigliottina ma in forma privata, risale al 10 settembre 1977. Nel 1981 la Francia

https://www.focus.it/cultura/storia/40-fot...i?modal-open=01
 
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view post Posted on 14/11/2021, 15:35
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La storia di Omayra Sanchez potrebbe sembrare datata perché risale a più di trenta anni fa, ma, invero, il suo insegnamento è universale, è eterno: è la testimonianza della forza del coraggio che supera anche la morte.
Il 13 novembre 1985, il vulcano Nevado del Ruiz in Colombia ha una violenta eruzione, considerata poi la seconda più disastrosa al mondo del ventesimo secolo per il numero di caduti.
Tra le vittime del disastro c’è anche Omayra, una tredicenne che resta intrappolata nel fango.
La notte dell’eruzione la ragazzina tenta di mettersi in salvo con i suoi famigliari, ma durante la fuga, la nonna di Omayra cade in un acquedotto. Omayra è l'unica abbastanza da piccola da calarsi per cercare di salvare la nonna, ma, mentre sono in atto le operazioni di salvataggio, arriva un'ondata di fango che travolge entrambe, trascinandole via, finché Omayra si trova con le gambe incastrate in una massa di acqua e detriti. La sua condizione è critica, ma non pare drammatica: ha tutto il corpo sommerso, mentre la testa rimane fuori dall’acqua evitando, in apparenza per fortuna, l’annegamento.
Quando arrivano i soccorsi tuttavia, ci si rende conto di come sia impossibile intervenire per salvarla poiché i detriti che le bloccano il corpo sono impossibili da spostare.
Si profila presto l'unica tragica soluzione: amputare le gambe.
La mancanza di medici e chirurghi rende però presto impossibile anche quest'ultima disperata soluzione.
Ciononostante i volontari, pur senza gli strumenti adeguati per estrarla, non si danno per vinti e cercano in ogni modo una soluzione.
Secondo una giornalista presente, Cristina Echandia, Omayra canta, prega e parla normalmente di se stessa, dei suoi amici, della scuola, della nonna. Ha anche parole di conforto verso chi si inquieta per la sua sorte ineluttabile, che sa essere segnata.
Passano i giorni e arriva la terza notte di agonia.
La piccola ha la febbre altissima ed inizia ad avere delle allucinazioni, dicendo di non volere arrivare in ritardo per la scuola. Dopo 60 ore immersa nel fango, il cuore della Omayra cede alla cancrena e all’ipotermia.
Appena prima della morte della giovane, il fotoreporter Frank Fournier immortala per sempre gli occhi profondi di questa ragazzina così straordinaria, stupendo il mondo con il coraggio e la dignità di Omayra.


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view post Posted on 19/11/2021, 08:45
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Era un viaggio di sola andata, ed era previsto così fin da quando la missione era stata concepita dai sovietici, perché a quel tempo non c'era ancora modo di far tornare un essere vivente sano e salvo dallo Spazio.
Ma la guerra fredda aveva imposto una corsa alle stelle in cui si doveva necessariamente essere i primi a portare qualcuno lassù, anche a costo di sacrificare delle vite.
Come primo essere vivente nello Spazio, venne scelta una cagnolina randagia, raccolta per le strade di Mosca. Si scelse una femmina, per guadagnare spazio, e molto fotogenica, per la propaganda. Il suo vero nome che era Kudrjavka, "ricciolina" in russo, venne frainteso da un giornalista e cambiato nel più semplice Laika, "Piccolo abbaiatore".
Lo Sputnik 2 che conteneva la cagnetta, venne lanciato il 3 novembre 1957 e avrebbe dovuto roteare intorno alla Terra per circa 8 giorni. Laika sopravvisse solo poche ore per poi cedere alla mancanza di ossigeno e allo sbalzo termico.
Dopo di lei, altri due cani, un coniglio, decine di topi, mosche e vegetali vennero lanciati nello spazio per poi tornare ancora in vita dopo una giornata in orbita.
Queste imprese convinsero le autorità sovietiche che, seppure estremamente rischiosa, si poteva concretizzare la missione di un uomo nello Spazio, e nell'aprile del 1961 venne il turno di Jurij Gagarin.
 
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