Il Tiramisu
Il tiramisu è nato verso la fine del XVII secolo a Siena, dove il Granduca di Toscana, Cosimo III de' Medici si era trasferito per qualche giorno. In suo onore i pasticcieri senesi decisero di realizzare un dolce che rappresentasse le caratteristiche del nobile: un dolce di prestigio, fatto con ingredienti semplici e gustosi. Venne così realizzata la Zuppa del duca. Essa divenne il dolce prediletto dai cortigiani, che attribuirono al dolce proprietà eccitanti e afrodisiache. Così la Zuppa del duca cambiò nome e prese quello di Tiramisu.
Spaghetti alla puttanesca
Gli spaghetti alla puttanesca sono un primo piatto tipico della cucina napoletana, detto anche semplicemente aulive e chiapparielle (olive e capperi). Sono preparati con un sugo a base di pomodoro, olio d'oliva, aglio, olive nere di Gaeta, capperi e origano. Dello stesso piatto esiste anche una variante laziale che vede aggiunte le acciughe sotto sale.
Anche se la ricetta se la contende anche Roma, pare che essa sia nata a Napoli e più precisamene nei Quartieri Spagnoli; all’inizio del XX secolo, il noto rione napoletano era infatti sede di attività di ogni tipo, tra cui alcune case di piacere. Un giorno il proprietario di una di queste “allegre dimore” decise di rifocillare i suoi ospiti inventandosi un piatto semplice e veloce, e fu così che pensò a questa pasta dal nome colorito.
Un’altra versione invece attribuisce l’invenzione della ricetta a una tale Ivette, una prostituta provenzale piuttosto autoironica, che dopo averla ideata le affibbiò questo nome in onore al suo mestiere.
Pizza Margherita
Alla fine dell'Ottocento Napoli era la regina della pizza, che veniva condita soltanto con aglio e olio. Nel 1889 la regina Margherita voleva assaggiarla ma, non potendo recarsi in pizzeria per ragioni di rango, chiese che venissero a prepararla alla reggia di Capodimonte. La richiesta fu indirizzata alla pizzeria Brandi. L'incarico fu dato a don Raffaele Esposito, il più famoso pizzaiolo dell'epoca, il quale realizzò una pizza come simbolo del tricolore (rosso = pomodoro; bianco = mozzarella; verde = basilico), modificando la tradizionale ricetta della pizza alla marinara; la chiamò margherita in omore della sovrana.
Il sartù di riso alla partenopea
Nel 700 a Napoli molti francesi, che lavoravan come cuochi presso nobili famiglie, erano di origine francese e venivano chiamati, con un termine francese napoletanizzato, Monsù (da monsieur). A Napoli la pasta andava per la maggiore, ma il riso era assai poco amato. Poiché i cuochi francesi avevano alle spalle una grande tradizione nella preparazione del riso, facevano di tutto per renderlo gradevole ai napoletani. Pertanto lo arricchivano aggiungendo proprio di tutto. Ebbe fortuna, tra le tante ricette a base di riso, uno sformato di riso al forno, condito con pomodoro e guarnito in superficie (dal francese sur tout, cioè su tutto) da melanzane fritte, polpettine e piselli. Il sur tout ben presto divenne sartù, che passò gradatamente anche alla tavola dei poveri.
olive ascolane
Le olive ascolane sono tra i piatti tipici italiani più copiati al mondo. La loro storia racconta di riciclo, ottimizzazione, gusto. Inventate ad Ascoli Piceno, nelle Marche, pare abbiano iniziato a diffondersi nel 1800 quando i cuochi nelle cucine delle famiglie più ricche iniziarono a farcire le olive col macinato. Motivo? La carne donata dai contadini ai padroni era eccessiva e non si sapeva più come smaltirla.
frico
Specialità tipica del Friuli, precisamente della Carnia, il frico è un'autentica leccornia. La ricetta tradizionale prevede del formaggio e delle patate rosolate in padella con burro o lardo, insomma, un piatto di sostanza. Le origini della ricetta pare siano antichissime, tanto che le sue prime tracce risalgono al XV secolo. Di questo periodo è, infatti, l'opera De Arte Coquinaria di Martino da Como in cui si racconta di un piatto molto simile al frico, allora chiamato Caso in patellecte.
cacciucco
Amatissimo in Italia così come all'estero, il cacciucco nasconde delle origini bizzarre. La tradizione racconta che la famosa zuppa di pesce livornese fu inventata da un guardiano del faro, al quale un certo editto della Repubblica fiorentina impediva di friggere il pesce. Il motivo è presto detto: l'olio doveva essere conservato per alimentare la luce del faro. Infatti, secondo la ricetta tradizionale del cacciucco, serve pochissimo olio.
biancomangiare
Di origine antichissima è il biancomangiare, nato in epoca medievale non come piatto ma come innalzamento dello spirito: ciò era dovuto alla sua caratterisica più importante, il colore bianco simbolo di ascetismo e purezza. Preparato sia in versione dolce che salata, oggi lega la tradizione culinaria di tre regioni italiane: Valle d'Aosta, Sardegna e Sicilia, tutte con la loro personalissima ricetta.
L'origine della zuppa inglese
Secondo la tradizione, l'origine di questo squisito dolce al cucchiaio risale al Rinascimento: un diplomatico italiano, di ritorno da Londra, chiese ai cuochi della corte dei duchi d’Este di preparargli un trifle, dolce tipico inglese che aveva particolarmente apprezzato in Inghilterra. I cuochi non vollero scontentarlo e crearono una versione nostrana del trifle inglese, sostituendo qualche ingrediente per superare in dolcezza e bontà il comfromto con i loro colleghi d'oltremanica. pertanto utilizzarono il pan di Spagna anziché la pasta lievitata all’inglese e farcirono con la crema pasticcera, preferendola alla panna.
Gli spaghetti alla carbonara
Per quanto riguarda la storia di questo piatto ci sono varie ipotesi in merito: la prima riguarda i carbonari appenninici, i quali la preparavano usando ingredienti di facile reperibilità e conservazione. Infatti per realizzare la carbonella era necessario sorvegliare la carbonaia per lungo tempo e quindi era importante avere con sé i viveri necessari. Sarebbe quindi secondo questa ipotesi, l’evoluzione del piatto detto “cacio e ova”, di origini laziali e abruzzesi, che i carbonari usavano preparare il giorno prima portandolo nei loro “tascapane”, e che consumavano con le mani. La seconda ipotesi, che resta forse ad oggi la più accreditata, è quella Angloamericana. Difatti il piatto viene ricordato per la prima volta nel periodo immediatamente successivo alla liberazione di Roma nel 1944, quando nei mercati romani apparve il bacon portato dalle truppe angloamericane. Questo spiegherebbe perché nella carbonara, a differenza di altre salse come l’amatriciana, pancetta e guanciale vengono riportati spesso come ingredienti equivalenti. Secondo questa tesi, sembrerebbe che durante la seconda guerra mondiale, i soldati americani arrivati in Italia, combinando gli ingredienti a loro più familiari che riuscivano a reperire, e cioè uova, pancetta e spaghetti, preparandosi da mangiare, abbiano dato l’idea ai cuochi italiani per la ricetta vera, che si svilupperà compiutamente solo più tardi.
Il Parmigiano Reggiano
Il Parmigiano Reggiano racchiude in sé un viaggio unico e straordinario lungo mille anni, che si compie ancora oggi negli stessi luoghi, con la stessa passione e gli stessi ingredienti.
Nel Medioevo i monaci cistercensi e benedettini, spinti dalla ricerca di un formaggio in grado di durare nel tempo, furono i primi produttori: grazie al sale proveniente dalle saline di Salsomaggiore e al latte delle vacche allevate nelle grangie, le aziende agricole dei monasteri, ottennero un formaggio dalla pasta asciutta e dalle grandi forme, adatto alle lunghe conservazioni.
Le prime testimonianze della sua commercializzazione risalgono al 1200: un atto notarile redatto a Genova nel 1254 testimonia infatti che fin da allora il caseus parmensis (il formaggio di Parma) era noto in una città così lontana dalla sua zona di produzione. Nel XIV secolo i commerci si espandono in Romagna, Piemonte e Toscana, raggiungendo anche i centri marittimi del mare Mediterraneo.
Il pesto
La ricetta del pesto, così come lo conosciamo noi, non ha origini antichissime, risalendo in effetti alla metà del XIX secolo.
Ma questo condimento può vedere la luce solo se si pensa che la Liguria per tradizione, è la culla delle erbe aromatiche.
la ricetta originale risalirebbe alla seconda metà del XIX secolo; il primo a citarla pare sia un noto gastronomo dell’epoca, Giovanni Battista Ratto nella sua opera, La Cuciniera genovese.
La ricetta è la seguente: “Prendete uno spicchio d’aglio, basilico (baxaicö) o in mancanza di questo maggiorana e prezzemolo, formaggio olandese e parmigiano grattugiati e mescolati insieme e dei pignoli e pestate il tutto in mortaio con poco burro finchè sia ridotto in pasta. Scioglietelo quindi con olio fine in abbondanza. Con questo battuto si condiscono le lasagne e i gnocchi (troffie), unendovi un po’ di acqua calda senza sale per renderlo più liquido”.
Nonostante la sua relativa giovinezza, questa ricetta sembra risalire all’evoluzione di una ricetta molto più antica, l’aggiadda (agliata), una salsa da mortaio a base d’aglio del XIII secolo e che veniva utilizzata per la conservazione di cibi cotti.
Ma non possiamo certo tralasciare una famosa leggenda che narra di un convento sulle alture di Prà (Genova) intitolato a San Basilio, nel quale un frate che viveva in quella dimora raccolse l’erba aromatica che cresceva su quelle alture (chiamata appunto basilium, in onore di san Basilio), la unì ai pochi ingredienti portatigli in offerta dai fedeli e, pestando il tutto, ottenne il primo pesto che man mano venne perfezionato.
La Minestra 'mmaritata
Questa famosa ricetta partenopea si deve alla lunga dominazione borbonica e corrisponde, grosso modo, alla "olla podrida" spagnola, che è costituita da un misto di carni. Si chiamò "maritata" per via del salsicciotto « sauciccione» che veniva mescolato (maritato) con le altre carni. Fu considerata per lungo tempo il classico "piatto forte" della cucina familiare, da realizzare in occasioni importanti.
La pietanza fu apprezzata e lodata fin dal ’500 e Ippolito Cavalcanti ne la riporta tra le sue ricette una versione semplificata. semplificando la preparazione.
Salvatore Rosa, il grande pittore napoletano del 600, racconta che la minestra maritata, piatto da cantina, veniva divorata dal guerriero e dal cavaliere dopo la battaglia, perché era un piatto caldo che dava forza e coraggio; considerava questa minestra "una mano santa" contro catarri e mal di testa.
I pizzoccheri
L’origine del piatto dei pizzoccheri non è testimoniata da una data o un evento precisi, ma da una serie di riferimenti culinari riportati da H.L. Lehmann, nella seconda parte della sua opera Die Republik Graubündeni, riguardante l’area dei Grigioni di cui la Valtellina in quell’epoca era parte.
L’autore cita i “Perzockel” come una sorta di tagliatelle fatte di saraceno e di due uova. La pasta veniva cotta nell’acqua, poi si aggiungeva il burro e si spargeva subito il formaggio grattato. Nelle case contadine, e nei maggenghi, era più usuale produrre gnocchi con gli stessi ingredienti invece delle tagliatelle, poiché spesso non si disponeva di un tavolo dove fare la sfoglia. Per questo l’impasto degli gnocchi rappresentava un modo per superare tale difficoltà.
Nel Prodromo della flora valtellinese (1834) Giuseppe Filippo Massara cataloga tra le piante rinvenute nel corso di varie escursioni botaniche in provincia di Sondrio il fagopiro, meglio noto come grano saraceno, e afferma che: “Colla stessa farina si fanno più altre ragioni di vivande, siccome “gnocchi” e “tagliatelli”, chiamati sì gli uni che gli altri pizzoccheri”ii.
la cassuola
Il piatto, così come viene preparato, nasce all'inizio del XX secolo, ma le sue varianti più antiche sono di origine incerta e controversa. Probabilmente, il piatto deriva ed è legato alla ritualità del culto popolare di Sant'Antonio abate, festeggiato il 17 gennaio, data che segnava la fine del periodo delle macellazioni dei maiali. I tagli di carne utilizzati per la cassoeula erano quelli più economici e avevano lo scopo di insaporire la verza, elemento invernale basilare della cucina contadina lombarda nei secoli scorsi. Ciò ha fatto presumere ad alcuni storici che il piatto sia nato da aggregazione successiva di ingredienti intorno al nucleo di verza e maiale, altri ipotizzano invece che il piatto originario, di origine barocca, prevedesse l'utilizzo di diversi tipi di carne e vi sia stata una successiva semplificazione e riduzione di ingredienti. È anche ritenuto plausibile che i due piatti, la versione "povera" e la versione "ricca", avessero origine diversa e nel tempo vi sia stata una sorta di convergenza che ha portato al piatto come è attualmente conosciuto.
La leggenda vuole invece che la cassoeula nasca da un soldato spagnolo che invaghitosi di una giovane donna milanese, cuoca di una famiglia nobile, le abbia insegnato la ricetta e che in seguito la giovane abbia proposto con successo il piatto ai suoi datori di lavoro.
Il nome deriva probabilmente dal cucchiaio con cui si mescola (casseou) o dalla pentola in cui si prepara (casseruola). Esiste un'altra spiegazione per il nome: è piuttosto noto che, per tradizione, il piatto venisse preparato dagli operai dei cantieri edili una volta che l'edificio fosse giunto al tetto ed il nome derivi dall'attrezzo utilizzato per mescolarla durante la cottura, per l'appunto la "cazzuola". È da segnalare inoltre che esiste un piatto della tradizione tedesca, il "Kasseler" ("càssola" nella pronuncia italiana), consistente in tagli di maiale affumicato servito con un contorno di cavolo verza.