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| Ad ogni sbarco di clandestini la Meloni e Salvini tuonano contro il Governo e auspicano un fantomatico blocco navale. Sia chiaro, chi vi scrive , è ben consapevole che la situazione è insostenibile in Italia come negli altri paesi Europei come Grecia e Spagna, ma , se c'è una soluzione, non puo' essere quella del blocco navale per i motivi che andrò ad esporre a breve. D'altro canto , sia la sorellina d'Italia che l'aspirante plenipotenziario leghista , non ci spiegano come attuarlo, e , nel caso qualche imbarcazione forzasse il blocco , cosa dovrebbero fare le navi militari italiane. Mi sembra qui utile spiegare che il blocco navale è tecnicamente un’azione militare finalizzata a impedire l’accesso e l’uscita di navi militari e mercantili dai porti di un Paese. Esso, pertanto, non serve ad intercettare micro-natanti come i barchini e gommoni che, tra l’altro, sfuggono ai radar di bordo. Il blocco navale è dunque tanto inutile allo scopo dichiarato dai sovranisti quanto difficilmente realizzabile. Aggiungiamo pure che Il blocco navale è regolato dal diritto internazionale, e in particolare dall’articolo 42 dello statuto delle Nazioni Unite. Esso non può essere attivato unilateralmente se non nei casi previsti di legittima difesa, aggressione o guerra. Il blocco navale, allo scopo di contrastare l’immigrazione, sarebbe dunque palesemente illegale. Palesemente illegale fu anche il blocco navale, aspramente criticato dalle Nazioni Unite, disposto da Prodi di concerto con le autorità albanesi nel 1997 provocò un grave incidente dove morirono circa 100 persone. L’episodio è passato alla storia come la tragedia di Otranto e coinvolse la nave albanese Katër i Radës e una nave della Marina militare italiana. La nave, carica di circa 120 profughi in fuga dall'Albania in rivolta, entrò in collisione nel canale d'Otranto con la corvetta Sibilla della Marina Militare italiana, che ne contrastava il tentativo di approdo sulla costa italiana. La nave albanese aveva tentato di forzare il blocco e non volle invertire la rotta. Al termine di otto anni di procedimento, il Tribunale di Brindisi condannò i comandanti italiano e albanese per "naufragio e omicidio colposo", attribuendo la responsabilità dell'"incidente" ad entrambi a livello individuale. Peraltro, la più ampia catena di comando, che stabilì il quadro giuridico, i discorsi e il consolidamento delle pratiche che portarono all'affondamento non furono oggetto di indagini giudiziarie.
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