Non so se abbia vinto la canzone più bella (non sono un critico musicale).
Di sicuro, la notizia è che ha vinto quella più rock e meno da festival di tutti.
Ha vinto chi ha osato confrontarsi con un mostro sacro (i Cccp), uscendone a testa altissima.
Ha vinto la miglior interpretazione cover per distacco, e ha vinto Manuel Agnelli.
E no, non sono di sicuro gli AC/DC o i Van Halen, ma nel giro di quattro anni hanno riportato il rock prima nel tempio del mainstream televisivo e, infine, nel luogo dei solisti e delle canzonette.
E questa è una grande notizia.
Potete dire tutto quello che volete.
Poi, quando Ornella Vanoni sfiora anche soltanto un microfono, a 86 anni compiuti, dà letteralmente lezioni di voce, di stile, di musica alle cinque generazioni successive.
Artiste così enormi, davvero, non ne fabbricano più.
La voce.
Basta la voce di Giovanna Botteri e di colpo da Sanremo ti senti catapultato nella Mosca del crollo comunista, in Kosovo nel ‘99, a New York negli anni 2000, nella Pechino d’inizio pandemia.
In un Paese e in un festival normale un monologo sulle donne lo avrebbe fatto lei, e tutti gli altri ad ascoltare in silenzio.
Come si fa a non amare questa donna?
Ha venticinque anni, ma artisticamente e professionalmente sembra che ne abbia quaranta.
Lei, Matilda De Angelis, bolognese, classe ‘95, ieri è stata per distacco la sorpresa più bella del festival: musicista dall’età di otto anni, suona indifferentemente violino e chitarra, cantante dalle doti sorprendenti, attrice di livello internazionale, tv, cinema, già candidata ai David di Donatello e inserita nella lista delle under 30 più apprezzate dal pubblico, un inglese perfetto e la capacità, rarissima, di tenere il palco come se facesse questo mestiere da trent’anni.
In un festival quasi interamente dominato dai soliti uomini e da maschi testosteronici, Matilda De Angelis è una boccata d’ossigeno e, insieme, una dichiarazione: che il talento e l’intelligenza pagano davvero, anche se sei giovane e donna.
C’è luce.
Io, sarà che comincio ad aver passato i venti da un pezzo, sarà che con lui ci sono cresciuto (chi di noi non lo ha fatto?) ma Manuel Agnelli può fare qualunque cosa su qualsiasi palco, con chiunque. Non sembra neanche Sanremo.
Qui non c è stata storia per la serata in cui sono andati in onda
È salita sul palco dell’Ariston come altre mille volte, regalando la solita grande performance.
Ma questa volta Loredana Bertè ha portato con sè un paio di scarpe rosse, simbolo della lotta contro il femminicidio, e ha detto:
“Sono qui per portare un messaggio. Al primo schiaffo c’è solo una cosa da fare: denunciare.”
Aveva già vinto lei per me. E non era neanche in gara.
Alessia Bonari, infermiera simbolo della lotta al Covid e protagonista della prima serata di Sanremo, è già tornata al lavoro a Milano.
Ma, prima di rientrare in corsia a combattere il Covid, ha fatto un annuncio bellissimo, dichiarando che donerà interamente il suo compenso a un’associazione che si occupa di cure palliative per i malati terminali.
“Mi è sembrata la scelta giusta - ha detto a Repubblica come fosse la cosa più naturale del mondo - Quella di Sanremo è stata una bellissima parentesi, ma la mia quotidianità è un'altra. Oggi pomeriggio sono al lavoro in ospedale. Ovviamente ero lì come Alessia Bonari, ma ciò che ho detto coinvolge tutto il personale sanitario, che sta ancora lottando in prima linea contro il Covid. Medici e infermieri sono fondamentali sempre, non solo in epoca di pandemia".
Che bella risposta, e che bel messaggio, alla faccia di tutti i miserabili che in questi giorni l’hanno accusata di andare al festival per fama e per avidità.
“Le donne italiane hanno in questo momento un compito fondamentale: quello di tenere il Paese. Tengono le scuole aperte attraverso i tablet, tengono le famiglie tranquille, accudiscono tante persone che hanno la positività.”
Raramente si è assistito su questo palco a un tale concentrato di banalità, pregiudizi, luoghi comuni retrogradi e retrivi.
La donna (e solo lei) educatrice.
La donna come “angelo del focolare”.
La donna che accudisce (non sia mai che li possa anche curare) i malati.
La donna che sembra uscita da una fotografia degli anni ‘50, alla faccia delle sue sbandierate “conquiste” sessantottine.
Più che omaggiare le donne, ieri sera Barbara Palombelli le donne le ha ingabbiate in cliché da cui per tutta la vita ha creduto evidentemente di scappare, senza rendersi conto di esserne totalmente prigioniera.
Poteva essere una grande occasione per raccontare il tema della donna in modo diretto, spietato, senza sconti.
È finito per diventare uno sciapo amarcord di una vita e di una carriera personale ben oltre i confini dell’auto-agiografia, scandita anche da alcuni scivoloni e cadute di stile (vedi la pallottola di Tenco) e le più trite banalità sui tempi che furono.
Fonte:
Lorenzo Tosa FacebookEdited by marmari - 9/3/2021, 14:04