Quando si parla di calcio, di diritto negato ed anche conquistato c è una storia che merita di essere raccontata ed è quella di Nadia Nadim.
Una giovane nata ad Herat, cresciuta a Kabul sotto le bombe. Quando aveva 11 anni, il padre fu sequestrato e ammazzato dai talebani e a lei fu impedito di andare a scuola, costringendola a fuggire all’estero insieme alla madre Hamida e alle quattro sorelle.
Durante il suo lungo viaggio della speranza, nascosta in camion di fortuna, è passata anche dall’Italia, prima di riuscire a raggiungere un campo rifugiati in Danimarca, in quello che sarebbe diventato il suo Paese.
È qui che ha cominciato seriamente a giocare a calcio, diventando in breve tempo una stella europea di prima grandezza e della Nazionale danese.
E, mentre faceva tutto questo, ha trovato il tempo di imparare e parlare quasi perfettamente 9 lingue, si è iscritta a Medicina con l’obiettivo dichiarato di diventare chirurgo una volta tolti gli scarpini, è stata citata da Forbes tra le 20 donne più influenti dello sport mondiale e nominata dall’UNESCO ambasciatrice per l’istruzione di giovani donne e per promuovere l’importanza della parità di genere.
A chi dice che le donne devono stare a casa, non possono giocare a calcio, non sono portate per le materie scientifiche, mostrategli la storia e la vita di Nadia Nadim. Perché è tutto lì.
L. Tosa