Le stronzate di Pulcinella

Uno scritto trovato in rete che parla di Napoli

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view post Posted on 10/12/2023, 08:32
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Napoli mi cadde nel cuore come fa uno masso di tufo che si stacca da una falesia e precipita nel mare.
Fino al giorno in cui il mio destino non si incrociò - e a ben pensarci la “Croce” intesa come la mano di Dio, avrà la sua metafisica importanza - con quel luogo che per me era una specie di riserva indiana dell’umanità dove, mi avevano detto, le regole sono sovvertite; fino a quel giorno, dicevo, potevo solo illudermi di vivere. Lo voglio svelare subito: ho cominciato a comprendere la vita, nel senso pieno, solo quando Napoli mi ha trafitto e da quella ferita è potuto entrare il sole.
Una feritoia necessaria e pur dolorosa per chi come me è nata e cresciuta in un paesino, Carbonate, nel quale lo spirito svizzero si fonde con quello lombardo.

Napoli.
“Napoli? Ma che stai dicendo, papà?!”
“Ho accettato Napoli. A Como non posso più restare. L’idea non è mia”, rivelò mio padre.
Mia madre, milanese da generazioni, taceva. Un assurdo tracciato scombinava la mia vita periferica di ragazza appena diplomata.
“Mi stai dicendo che dovrò iscrivermi all’Università di Napoli? Mi sembra una pazzia!”
“Lasciamo fare a Dio”. Queste le uniche parole proferite da mia mamma, una donna troppo religiosa per piacermi caratterialmente... perché io non potevo accettare pseudo ingerenze divine nella mia esistenza.
Mi rinchiusi in camera e piansi! Urlai contro il soffitto tutta la mia rabbia per un trasloco che avvertivo come una condanna comminata da un giudice crudele nei confronti di un innocente. Io!
Ignoravo che mio padre era stato colpito da una sciagura professionale e che l’unico aiuto, ricco di umana misericordia, gli era giunto da un vecchio amico napoletano che era venuto a conoscenza del suo problema.
Non c’erano vie di fuga, nessuna alternativa al trasferimento a Napoli.
Partimmo carichi di scatoloni, speranze e timori.
Eduardo, l’amico di mio padre, conosciuto durante un periodo di suo trasferimento a Como, ci aveva anche procurato un alloggio.
Che dire... tutto commovente fino al momento in cui lo abbiamo visto. Un appartamento al terzo piano in via Pallonetto a Santa Lucia. Ricordo ancora la morsa nello stomaco quando scesi dall’auto e mi ritrovai come su Marte in mezzo ai panni stesi e le edicole votive di un luogo che pensavo esistesse solo nei film.
Mia madre trovò motivi per sorridere alla vista di una grande e un po’ pacchiana statua di Padre Pio, lei devotissima. Mi raggiunse nel punto in cui mi ero pietrificata sperando invano di uscire da questo incubo e svegliarmi nel mio letto, tra le mie cose, nella mia terra. Mi toccò il braccio e mi disse: “fidiamoci di san Pio, su, vedrai che questa città ti piacerà! La guardai sconvolta. Era impazzita pure lei?
Mentre alcune persone sorridenti si affrettarono a presentarsi, mettendosi “a disposizione” di noi forestieri, vidi procedere verso di me a passi lentissimi una signora dai capelli bianchi che spiccavano sull’abito nero. Aveva la faccia simpatica e piena zeppa di rughe. Gli occhi suoi azzurrissimi mi frugarono nel profondo.
“Signorina, non abbiate timore... Napoli all’inizio fa uno strano effetto. Fidatevi di me! Signurì, io ero tedesca. Ero. Sì, perché ormai Berlino è solo un nome sulla carta di identità. Vivo qui da oltre sessanta anni. Mio marito, Luigi, mi ha fatto tre grandi regali: il suo amore, i nostri tre figli e... Napoli. Su, non ci pensate... Napoli poi fa tutto lei. Vedrete se mi sbaglio”. Guardai, come ipnotizzata, quella vecchietta gentile che evidentemente mi capiva un po’; non sapevo che saremmo diventate amiche. Era vedova, abitava sola al piano sotto casa nostra. I primi giorni non me la sentivo di uscire. Mi chiudevo in casa a leggere e ad ascoltare la musica. Poi, dopo 48 ore di reclusione, suonò alla porta un ragazzo. Gli aprii perché mi disse da dietro l’uscio che lo aveva mandato la signora Giovanna, così si chiamava la signora di sotto.
“Che posso fare per te?” Era un ragazzo moro non particolarmente alto con due occhi color del cioccolato fondente e una fila di denti un po’ irregolari ma bianchissimi.
“Ciao, tu devi essere la svizzera...”
“No! Io sono lombarda”.
“Vabbuò, è quasi ‘a stessa cosa...”
“Sì, se uno non sa niente di geografia.” Ribattei intenzionata a ristabilire la verità geografica sulla mia provenienza.
“Insomma, che c’è?”
“Sì, scusa. Mi manda la signora Giovanna. Queste sono per te”. Mi porge un sacchetto di carta bianco al cui interno due dolciumi caldi soffiavano un profumo stupendo”.
“Sai che sono? Non credo li facciano in Svizzera... cioè a Milano”.
“Non sono di Milano! Sono di Carbonate, in provincia di Como”.
“Assaggiali e dimmi se preferisci la frolla o la riccia; che la signora lo vuole sapere”.
Mi piacquero entrambe. Ma così tanto che i primi passi che feci da sola in città furono per approvvigionarmi di sfogliatelle.
Che cosa c’era dentro quei dolci per stregarmi così l’ho capito solo di recente. Nella sfogliatella c’è il cuore di Napoli. Nel giro di qualche giorno presi confidenza con le strade e iniziai a scoprire i tesori della città. L’esperienza mi cambiò nel profondo perché abituata ad un paesino era per me come se mi ritrovassi in una favola infinita. Miriadi di scale, vicoli, chiese, monumenti e poi il mare... che meraviglia.
Mio padre si inserì bene al lavoro e mia madre si dedicò alle sue benedette devozioni, accolta con affetto speciale da un paio di confraternite di credenti.
Un giorno all’improvviso quel ragazzo moro mi fermò per strada e mi invitò a visitare il Parco del Virgiliano. Salii sulla sua vespa gialla e sperimentai la “guida napoletana”. Se non mi venne un infarto lo devo forse alle preghiere di mia madre. E non solo il mio cuore rischiò per via degli slalom di Alberto, ma soprattutto per la vista dalla sommità di Posillipo. D’un tratto mi sentii ricca più di una milionaria.
Alberto mi raggiunse vicino ad un parapetto di tufo mentre ero in religiosa contemplazione del panorama, che comprendeva Capri e la Costiera sorrentina, e mi cinse con il braccio la bassa schiena. Mi girai e mi ritrovai i suoi occhi sorridenti immersi nei miei.
Napoli mi aveva rubato il cuore. Napoli mi ha rubato il cuore, sì, ma ci ha messo dentro cosi tante cose belle che ora sembra una calza della befana ricolma di regali meravigliosi.

Sono passati più di dieci anni da quei giorni. Mi laureai in Storia dell’Arte e oggi mi dedico a far conoscere e amare Napoli. Alberto mi ha chiesto di sposarlo tre anni fa. Sono figlia adottiva della mia Napoli e sono certa che se venisse indetta una sfida con i nati a Napoli su chi l’ama di più vincerei la gara d’amore contro tutti.
Aveva ragione Giovanna. Ero lombarda, quasi svizzera: ma mo so’ napulitana e basta!

R.B
 
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